Emily Dicknson: J968 (1864) / F834 (1864)
Fitter to see Him, I may be
For the long Hindrance - Grace - to Me -
With Summers, and with Winters, grow,
Some passing Year - A trait bestow
To make Me fairest of the Earth -
The Waiting - then - will seem so worth
I shall impute with half a pain
The blame that I was chosen - then -
Time's to anticipate His Gaze -
It's first - Delight - and then - Surprise -
The turning o'er and o'er my face
For Evidence it be the Grace -
He left behind One Day - So less
He seek Conviction, That - be This -
I only must not grow so new
That He'll mistake - and ask for me
Of me - when first unto the Door
I go - to Elsewhere go no more -
I only must not change so fair
He'll sigh - "The Other - She - is Where"?
The Love, tho', will instruct me right
I shall be perfect - in His sight -
If He perceive the other Truth -
Upon an Excellenter Youth -
How sweet I shall not lack in Vain -
But gain - thro' loss - Through Grief - obtain -
The Beauty that reward Him best -
The Beauty of Demand - at Rest -
domenica 12 ottobre 2008
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1 commento:
Splendida lirica, questa di Emily Dickinson, che potrebbe aprire tante riflessioni e fornire materia di discussione in spazi che non siano quelli angusti di un blog. Qui la "monaca ribelle", la "strega", la "zingara", come lei stessa si definì, o l' "eretica", come la definirono alcuni contemporanei, dà prova di una religiosità profonda, molto vicina al nostro sentire; questa poesia è un canto alla vita oltre la morte, alla resurrezione dei corpi, alla virtù teologale della Speranza…
Due temi si intersecano qui, quello della rinuncia come suprema prova d'amore, che non toglie ma dà, e quello della privazione, che permette di godere poi la gioia dell'appagamento.
Emily si autoesclude dalla società puritana in cui vive, dove è considerata una " colpa" essere "scelti" dall'Amore ( v.8 ), e proietta la sua volontà di amare ad ogni costo nell' "oltre", dove solo la Bellezza sarà il criterio di giudizio che deciderà del suo amore…
E' il rovesciamento di ogni "perbenismo", è seguire le ragioni del cuore contro ogni logica umana: Non ciò che mi corrisponde ( per condizione sociale, sesso, età ecc.) mi deve essere dato, ma ciò che mi è dato – mi corrisponde -, risponde pienamente a come son fatto io, è per la mia felicità…
Se si vive la vita così non c'è bisogno di selezionare rapporti e circostanze a seconda che convengano o meno, irrigiditi in una perenne, logorante, posizione di calcolo o di difesa:
" Tutto è vostro ", dice Paolo ( 1 Cor.3,22 ), " il mondo, la vita e la morte, il presente e il futuro", " Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato " (Fil.8,4 ).
E' in questa prospettiva che Emily porta avanti il suo amore…
Certo, tutto questo non è a buon mercato: è la perla preziosa che si acquista a caro prezzo.
L'inevitabile sacrificio ( mai artificioso, quasi mai programmato, semplicemente sempre obbedito ), è reso ragionevole dal possesso della perla; ma quello che voglio sottolineare è che il sacrificio non sta in primo piano: in primo piano, nell'esperienza cristiana, sta il possesso, la cui condizione è il distacco. "Possesso nel distacco", qui è il segreto di ogni autentica esperienza affettiva.
L'amore mi accade, senza chiedere il permesso alla mia libertà: il mio io si imbatte in un tu che lo attrae e ne subisce il fascino; è uno stato di grazia in cui l'io è gratuitamente messo in moto, è l'emergere di una affinità profonda, come una misteriosa armonia. Così viene destato il desiderio, quindi la tensione inesorabile al possesso dell'amato. Perché la misura del desiderio umano è la totalità ( v.28 ) : è l'ardore di Ulisse, è il " voglio tutto ! " della piccola Teresa di Lisieux, è la dimensione del " per sempre ". E perché ciò si realizzi c'è un salto da compiere: staccarsi da sé per far posto all'altro; questa è la strana necessità del sacrificio, la paradossale legge evangelica del " perdersi per ritrovarsi ".
Nel nostro Occidente emancipato ogni scelta di sacrificarsi per l'altro è sentita dalla maggioranza come una minaccia al proprio bene-essere: amare così viene pensato come un fenomeno circoscritto di cui sono capaci i "santi", quando non viene deriso, obiettato, attaccato…è il grande fraintendimento che fa pensare a molti che sia impossibile conciliare la forma dell'amore che cerca la piena realizzazione di sé ( eros ), con quella che, per affermare l'altro, accetta la piena rinuncia a sé ( agàpe )…questa visione non appartiene alla sensibilità cattolica, essa è dovuta all'influenza della " theologia Crucis " luterana, la stessa visione, mediata attraverso il calvinismo, a cui si ribella la sensibilità di Emily Dickinson.
Il modello supremo dell'amore, il Crocifisso, dimostrerebbe secondo Lutero che per amare è necessario rinnegare se stessi fino all'annientamento totale; il peso dato alla croce finisce per mettere in ombra totalmente la resurrezione…Invece è necessario guardare al dispiegarsi totale dell'esperienza umana di Cristo, che si consegna al Padre rinunciando a Sé sapendo che il Padre si fa carico del Suo compimento; ed in effetti il Padre Lo risuscita.
Così è per noi, fatte le debite distinzioni: l'istintivo moto con cui l'uomo allunga le mani per afferrare l'oggetto del proprio desiderio, può sfociare nel più squisito atto oblativo di libertà, se accetta che sia un altro a dettare le condizioni per la propria realizzazione.In questa scelta, capace di sacrificio, l'uomo gioca l'inverarsi dell'amore di sé nell'amore del proprio bene. Solo se accettiamo il sacrificio di lasciare essere l'altro come altro, ridimensionando la nostra spinta egoistica, possiamo raggiungere il compimento del nostro desiderio…
Lo aveva capito questa piccola donna della Nuova Inghilterra, con quell'infallibile istinto che solo l'amore vero può suscitare…grazie, Emily.
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