lunedì 21 gennaio 2008

In margine al relativismo - nota sulla laicità

Attaccare chi ha convinzioni, opinioni e credenze diverse dalle nostre è una contraddizione per chi si professa scevro da dogmatismi e si dichiara tollerante dentro e fuori ogni gruppo sociale di appartenenza, religioso o laico che sia: sottolinea la sostanziale differenza fra una persona non liberale – non tollerante – che ha reso il relativismo un dogmatismo e una persona autenticamente liberale – ovvero tollerante – che attraverso un corretto relativismo si difende dal dogmatismo della supponenza, dell’indifferenza o del potere.
Per i sedicenti relativisti, ormai presenti dentro e fuori ogni gruppo sociale di riferimento, che si presentano assertori delle libertà e della tolleranza, infatti non solo tutte le convinzioni, le opinioni e le credenze “godono lo stesso status alla luce della ragione come una luce verde a credere ciò che aggrada con la convinzione e la forza che aggrada” (cfr. “Gli equivoci del relativismo” articolo apparso su Il Sole-24 ore del 26 agosto 2005), ma queste hanno una gradazione etica diversa a seconda della propria interpretazione, della propria intelligenza e della propria cultura; dunque, della propria educazione, ovvero della capacità di controllare la propria od altrui opinione.
Oggigiorno il professarsi relativista ~ un tempo il relativismo esprimeva autentiche posizioni etiche ~ si riduce “alla goffa conclusione che ogni sistema di convinzioni, opinioni e credenze sia giustificato o giustificabile e, dunque, che nessuno possa giudicare le convinzioni degli altri e, tanto meno, affermare la validità delle proprie” (ibidem) … a meno che non si arrivi ad attaccare, misconoscere o sconfessare le persone o le istituzioni rispetto alla loro confessione di fede, al loro credo, ai loro valori, alla loro cultura ed etica di riferimento (il Dalai Lama oggi è considerato un'autorità morale universale, il Papa non più; come mai?).
Non potendo più criticare le convinzioni, le opinioni e le credenze altrui, in quanto oramai tutte equivalenti, al sedicente relativista non è rimasto altro che criticare i comportamenti teorizzando però un’etica formale del “rispetto del pluralismo”, una “prassi dell’indifferenza”, un “razionalismo scettico ed individualistico”. Insomma, la negazione del vivere in società, la contraddizione di ogni sorta di relazione profonda, l’abbandono di una dialettica conciliante, la rinuncia alla convivenza, una pura battaglia per la sopravvivenza delle idee e degli stili di vita, una trincea della vita privata (La cultura che ha una storia che valore ha?).
Dietro al sedicente relativista, allora, sempre più appare un qualunquista, non una persona debole, priva di intelletto, con un grado di educazione basso. Un manipolatore, più che un manipolato.
D’altra parte il Relativismo ~ quello autentico con la R maiuscola ~ non è stato altro che l’antidoto all’arroganza dogmatica e all’intolleranza: il vero Relativista non attaccherebbe mai la persona o l’istituzione che rappresenta una nazione, quanto una comunità, o non userebbe mai un formalistico rispetto o l’indifferenza o uno scettico individualismo per difendere o proporre i propri valori, ma tenderebbe a sposare dibattiti, incontri, luoghi in cui tentare di conciliare le diversità per il raggiungimento di un sempre maggior bene comune a vantaggio di tutta la società. Il Relativista neppure potrebbe accettare ~ in maniera qualunquistica ~ per sé o per gli altri ogni stile di vita, perché la sua esistenza si fonda su dei veri e ~ quindi ~ condivisibili valori, unico cemento per un’etica comune a vantaggio di tutti.
Infine, fuor di metafora, il rapporto tra i cosiddetti “laici” (gli atei?, i non credenti?, i credenti aconfessionali?) e le persone cosiddette “religiose” (i credenti confessionali?) resta comunque un problema irrisolto e pungente nella società liberale, occidentale e moderna: il laico, per lo più (anche se non sempre è così), sembra optare per un riconoscimento dell’esistente, del dato di fatto, dedicando poca attenzione alle questioni dei principi, al massimo promuovendo ~ nel campo dell’etica ~ battaglie libertarie e di tolleranza, e ~ in politica ~ affermando i diritti dei singoli ed il rispetto dell’ambiente, come nuove religioni sociali e civili; il religioso è consapevole di vivere in un mondo secolarizzato, ma è impegnato ad affermare il valore alto di una visione del mondo.
Per questo il Relativista che incarna valori forti ed esprime richiami a principi e a tradizioni familiari e sociali non corruttibili, appare oggi in minoranza, in via di estinzione e “reazionario” al mondo laico delle nuove religioni civili.

La politica stessa, divenuta nel frattempo teatro per l’audience, è divenuta visione civile di un nuovo culto religioso, luogo in cui si possono affermare, costruire, formare “nuovi valori” o valori di singoli o di singoli gruppi.
Non a caso il Relativista riesce meglio a confrontarsi con il mondo religioso – in genere quello cattolico – che esprime valori non in-fondati, piuttosto che con quello che afferma di tollerare ma non riesce più ad avere in sé e fuori di sé una scala di valori o di riferimenti assoluti. L’opinione della maggioranza o di un singolo individuo, di fatto, oggi può essere un nuovo valore e dunque ogni valore può costituirsi al di fuori di un contesto sociale, di un percorso storico, etico-culturale o religioso. Questo è un dramma, perché il "qui ed ora" è divenuto un valore assoluto ed il futuro la semplice proiezione di un eterno presente.
Che ci sia un punto di contatto fra abbandono dei falsi idoli e ricerca delle verità? Fra lotta per la libertà e lotta interiore che libera da ogni forma di idolatria e schiavitù in vista del bene comune? Che ci sia una speranza condivisibile, oltre al possibile ethos condiviso? La Ragione quale percorso deve intraprendere nel mondo contemporaneo?

In fondo, la tolleranza stessa, per essere tale, deve riconoscere il diverso da sé come ”non portatore di valori”, paradossalmente come colui che scalfendo i miei valori mette in pericolo la mia vita, il futuro dei miei figli. La tolleranza non è il semplice “vivi e lascia vivere”, un “basta che tu non impedisca le mie libertà”. La tolleranza è un impegno morale molto gravoso, serio, difficile che mette in crisi: nel momento che riconosco la tua differenza da me, mi impegno a non escluderti, a riconoscerti ed infine ad accettarti. Ti accetto nel tuo non portare valore – ovviamente, secondo la mia visione della vita – ma allo stesso tempo ti confermo nel consesso civile, perché infine questo imporrà l’accettazione dell’altro in vista di un sempre maggiore bene comune (mai scisso dal valore della pace e della giustizia sociale): ti tollero e cercherò con te soluzioni – che non ammettono qualunquismo ed indifferenza fra di noi – in vista del bene comune.

La tolleranza è certamente una lotta, seppur pacifica se vissuta dalla ragione nella giustizia sociale.

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