domenica 4 novembre 2007

Chi è il santo? ... Questa è la festa dei santi ...

Da uno scritto di don Michele Do
"Festa di tutti i santi 1 novembre 1993"

«Oggi, festa di tutti i Santi, penso sia un momento alto nella liturgia della chiesa e nella vita del cristiano, anzi direi che se non si giunge a questa comunione dei santi e delle cose sante, sono sterili e vane anche le feste del Natale, le feste della Pasqua; perché questa direi che è il vertice, è la vetta da raggiungere e che viene additata come orizzonte del cristiano. È il bene che fa festa, è il bene che fa comunione: questa è la festa dei santi. Ed è una comunione con la bellezza, con la luce, con le vette, con i vertici della vita. Ẻ un’esperienza vitale oggi, soprattutto dove ci sono altre comunioni, che però non sono comunioni, ma aggregazioni, in questa palude che sta diventando la vita associata. (…)
È la comunione di cui parla Gesù nel suo vangelo: “Là dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. La comunione nella luce e con la luce: senza questa comunione non c’è possibilità di vita, di sentire il divino e di fare l’esperienza di Dio. Quest’alta comunione pone Dio in mezzo a noi, ci fa sentire Dio e ci fa sentire la sua presenza. È difficile sentire Dio se siamo soli.
Nascono allora nella nostra vita quelle amicizie che sono “il sacramento di Dio” e di tutto quello che è alto e divino nella vita: questa è la comunione dei santi e delle cose sante. Alte amicizie, alte comunioni, in cui Dio prende il volto degli amici, prende il nostro volto. Questo è evento sacro.

Chi è il santo?
(…) Il santo è colui che nella sua vita ha cercato in qualche modo di interiorizzare qualche cosa di Dio, di interiorizzare Dio accogliendo l’invito di Gesù: “Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli; siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre vostro che è nei cieli”. È questa la santità: quando un uomo nella sua vita riesce a interiorizzare qualcosa di Dio e lo lascia trasparire.
L’uomo è il solo sacramento di Dio.
L’uomo quando si è trasfigurato ed ha interiorizzato Dio, è l’unica, sola, alta e grande parola di Dio. Diversamente Dio è silenzioso e muto. Parla attraverso l’uomo trasfigurato.
Questi uomini dicono Dio con la loro vita e con il loro volto. Sono come il roveto ardente nelle nostre notti, nelle nostre oscurità e sul nostro cammino. E dal roveto ardente esce la forza della presenza: queste sono presenze che hanno interiorizzato Dio senza saperlo – perché (come scrive C.Magris) l’aureola i santi la portano dietro sul capo, non se la mettono davanti: la vecchina del tempio di Gerusalemme che depone le sue monetine, furtiva, vergognosa di sé, non sapeva di essere grande. Gesù che l’ha vista, l’ha illuminata.
Di fronte a queste creature umili e grandi, se abbiamo intelligenza e cuore, noi sentiamo l’invito, come davanti al roveto ardente: “scalzati, perché la terra che tu calpesti è sacra”. Ed allora nasce con spontaneità la reverenza, l’inchino. Altrimenti siamo come il branco che calpesta tutto; per questo si cintano le sorgenti pure; si devono cintare, non per segnare una proprietà, ma per proteggere la purezza, per custodire il fuoco sacro.
Vedete come è universale il senso religioso, quello alto: ovunque si trovano questi momenti fondamentali dell’esperienza religiosa, ed allora, reverenti, come gli indù che portando le mani da capo a capo, da cuore a cuore, nell’inchino dicono la parola sacra namaste, diciamo anche noi questa sacra parola: “Saluto reverente il Dio che è in te”.
Questa è la chiesa, la grande chiesa in cui il cristiano, come discepolo di Cristo, sente di dovere mettere radici, radicato nella chiesa come un albero nella sua zolla. Allora l’uomo in questa chiesa ritrova le sue radici divine e le sue vette divine. Sa che è in cammino, nonostante tutta la sua povertà ed il suo travaglio, verso questa divina pienezza, che noi contempliamo oggi raggiunta lassù nei cieli dove Dio è tutto in tutte le cose.
Amo molto la preghiera dell’Angelo:
“Donaci o Signore, un angelo amico
Che ci riveli e ci faccia sentire la tua bontà ed il tuo amore
e ci renda capaci di pietà verso ogni creatura.
Donaci un angelo di comunione con cui poter condividere i doni della vita.
Donaci, o Signore, un angelo buono che custodisca la nostra anima
che vegli sulla nostra vita, che guidi il nostro cammino.
Ci sia egli sempre vicino col il suo volto luminoso
e ci conduca a Te, ai tuoi santi, a coloro che amiamo e ci amano
ed anche a coloro che non ci amano
e facciamo fatica ad amare,
perché l’amore deve vincere tutte le barriere”.
Ecco, è questa comunione alta che diventa il pane per tutti i pellegrini.
Quando un uomo tenta di vivere il vangelo, diventa come Gesù, pane: “il tuo pane, o Signore, sostiene i poveri in cammino”. Questa è amicizia, questa è alta comunione, che diventa pane dell’angelo. (…)
Siamo nella dimensione di Dio, siamo nella dimensione dello Spirito che non conosce lontananza geografica. Si è soli e tuttavia si è in comunione. Allora queste amicizie, questo pane dell’angelo, ci rende capaci, come Elia, di camminare da soli, anche nel deserto.
Questo, penso che sia il monachesimo di cui abbiamo bisogno tutti: questo eterno, universale, essenziale monachesimo. Monachesimo senza voti, senza cinte murarie, senza monasteri. Il monaco vero vive ovunque, disseminato ovunque. Nel cap. 5° della splendida lettera a Diogneto, si legge: “sparsi ovunque”, immersi ovunque. Il monaco è un uomo capace di stare in piedi da solo e di camminare da solo, custodendo intatto dentro di sé tutto un mondo di realtà, di valori sacri e preziosi che non s’hanno da cedere mai. Questo è il monaco, questa è la chiesa fatta di monaci solitari, perché nessuno è capace di comunione come i solitari. E se non siamo capaci di solitudine, le nostre comunioni sono come il giochetto dei bambini che fanno i castelli con le carte: basta un alito e si disgregano, inconsistenti, effimeri. Questo monachesimo rende ognuno capace di attraversare la vita con un’anima intatta, sapendo che l’anima non si ha da cedere mai, che l’anima si dona solo a Dio, ai santi ed alla luce. Si è allora come sentinelle nella notte, ma non si ha più paura della notte. Si veglia in attesa dell’aurora, del regno di Dio; ed a tratti alla domanda: “a che punto è la notte?” si risponde: “Non temete, viene il mattino!”. E si continua il cammino.

I santi, amici, non fanno mai branco.
Dove c’è branco non c’è lo Spirito. Solo quando si esce dal branco si può cominciare a fare comunione. Il compito maggiore è quello di creare tensioni, di creare inquietudini, di creare tormenti. E solo quando si è abitati da una inquietudine, ci si mette alla ricerca di qualcosa; allora è possibile l’evangelizzazione».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Verrà davvero un "mattino"?
Esiste qualcosa come il "giorno"?
Potrei vederlo oltre i monti
se fossi alta come loro?

Ha piedi simili a ninfee?
Ha piume come un uccello?
Lo portano da terre favolose
che non ho mai udito nominare?

Oh, un sapiente!Oh, un marinaio!
Oh, un saggio dei cieli!
Dite, vi prego, a questa pellegrina
dov'è il luogo chiamato "mattino"!

(Emily Dickinson,101)

Beato, cioè santo, chi sa confortare l'attesa, con sguardi, parole, inesauribile amore, sentinella dagli occhi stanchi ma ostinatamente fissi sull'orizzonte,
lampada ostinatamente fedele nell'orrido nulla del sepolcro vuoto, speranza del mattino in cui ci sarà restituito il giardino dove il diletto si nasconde...
Beato, cioè santo, chi è angelo per un altro angelo...