Analizzo tre espressioni, prima di entrare nel merito di questa “lezione per giovani apprendisti architetti”: uomo religioso, uomo spirituale e uomo interiore. Nessuno si spaventi… Le ragioni del fare si ritrovano nello spirito; con questo non voglio implicare l’homo religiosus, ma la parte di un uomo, cosiddetta “trascendente” ed “interiore”, sì. Vediamo come ed in quale senso …
Mentre l’uomo religioso può avere una vita spirituale – soltanto se matura la sua fede e cresce umanamente – e l’uomo spirituale può essere religioso solo e soltanto se fa quel salto che la fede gli propone, quest’ultimo, in mancanza della fede, resta comunque un uomo che trascende la realtà. Per l’uomo spirituale la realtà non è la fine, la conclusione, della sua umanità anche se Dio non è il suo fine. L’uomo spirituale vive una dimensione dell’esistenza aperta ed universale al di là del proprio limite; insomma, ha un rapporto diverso con la materia.
Per fare un esempio richiamo la grande esperienza di Antoine De Saint-Exupery nel secolo scorso. Questi ha lasciato pagine assolutamente importanti ed uniche della sua esistenza e della sua esperienza come uomo, come aviatore e come artista; da non credente è riuscito a toccare vette stupefacenti, non solo per ricchezza, per sensibilità e per vita interiore, ma per aver continuamente colto un mistero che nella realtà parla all’uomo: l’infinitamente trascendente della materia. Rimando alla sua biografia e alle sue note di viaggio – non solo al Piccolissimo Principe, da molti amato.
Se è pur vero che l’uomo interiore non ha niente a che vedere di per sé né con l’uomo religioso, né tanto meno con l’uomo spirituale (una profonda ed intensa vita interiore può benissimo essere atea o materialista, ad esempio), è altrettanto vero che una vita religiosa – se ben matura – non solo è spirituale, ma anche ricca di vita interiore, ed una vita spirituale – seppur da non credente – ha sempre una ricchezza interiore, umanamente universale. Dunque, una vita interiore che si apre alla vita spirituale può fare una certa differenza …
“Le ragioni del fare si ritrovano nello spirito”, non con questo che sia implicato obbligatoriamente l’homo religiosus, ma che sia implicita la parte di un uomo, cosiddetta “spirituale”, sì. L’uomo spirituale non si ferma di fronte alla materia, ma di fronte ad essa si interroga e cerca sempre di darsi una risposta diversa da ciò che subito gli appare. Tende a manipolarla – gesto creativo per eccellenza – e tende a rintracciare una storia, a raccontarla, a narrarla – gesto altrettanto creativo, perché implica la ricerca di senso (chi sono, da dove vengo e dove vado). E’ chiaro, a questo punto, che con questo mio dire sulla “spiritualità” non mi riferisco tanto ad una nozione “metafisica” o “idealista” sull’uomo, quanto piuttosto ad una visione “esistenzialista” dell’uomo stesso. Tanto per capirsi: fra Cartesio e Pascal ho sempre preferito il secondo, fra Hegel e Nietzsche ho sempre preferito il secondo, fra Kant e Kierkegaard ho sempre preferito il secondo, fra Schopenhauer e Bergson ho sempre preferito il secondo, seppur ho amato il primo; fra Heidegger e Maritan ho sempre preferito il secondo, seppur ho apprezzato il primo etc.
Ebbene, se l’uomo spirituale non si esaurisce nel suo “essere materia” – seppure il suo esserci è percepito per scomparire – allora ai suoi occhi la materia stessa acquista una dignità diversa: diventa corpo animato e lo spazio, ad esempio, diventa luogo. Per l’uomo spirituale la realtà non è pura phisis, ma è soprattutto pneuma, luogo della storia e dell’incontro …
In un certo qual senso per parlare del corpo/anima, anziché della materia, o di luoghi – anziché di spazi – bisogna fare un salto “spirituale”: non solo gli uomini non sono semplici individui, monadi sparse sul globo, ma il loro essere persone in relazione fra di sé – che implica una fraternità – va sempre riconquistato con quella ragione del cuore – direbbe Blaise Pascal – che la ragione da sola non ha.
Piazza del Campidoglio – così come la Cappella Sistina – a Roma, ad esempio, più che materia hanno anima e più che spazi sono luoghi. Sono “luoghi animati” capaci di narrare e di raccontare al di là della mano che li ha creati e del tempo che li ha resi celebri. C’è, insomma, nei luoghi la ricerca di una ragione umana altra dalla semplice razionalità, c’è l’invito ad interrogarsi e a lasciarsi interrogare ben oltre l’apparenza, ben oltre le proporzioni dello spazio, ben oltre l’uso sapiente dei materiali, della tecnica, dei linguaggi, delle regole, delle leggi …
Dar vita all’architettura è concepire una vita spirituale; questa è vita eticamente rilevante. Ma questa è un’altra storia.
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