L’uomo è un animale ragionevole con una vita spirituale, un’anima rivestita da un corpo, piuttosto che un corpo animato da uno spirito alieno. L’uomo, insomma, è un animale dotato di un corpo e di un’anima, in cui la sua parte razionale e spirituale convivono egregiamente. Dicevo nella lezione precedente che “le ragioni del fare si ritrovano nello spirito”, non con questo che sia implicato l’homo religiosus obbligatoriamente, ma la parte di un uomo, cosiddetta “spirituale” ed “interiore”, sì. Per questo l’architettura possiede sempre almeno tre qualità: la cultura (è espressione di valori di una società), un fondamento teorico (è razionale), infine la bellezza … non propriamente estetica, ma rappresentante il bello attraverso quel passaggio – unico ed irripetibile – che emerge dalla spiritualità e dall’interiorità di chi la costruisce …
L’architettura giunge alla “bellezza” solo se attraversa ed esprime “razionalmente” dei “valori” rielaborati in quel processo spirituale unico ed irripetibile dell’interiorità dell’architetto genericamente e non individualisticamente inteso. In questo senso la “bellezza” è espressione, non solo dell’esteticamente bello, ma del giusto – bonum – in quanto bene per l’uomo, del vero – verum – in quanto vero per tutti gli uomini e per ciascuna persona, infine “pulcher”, ovvero “bella”.
Da questa visione dell’architettura “spirituale” e “interiore” assieme, scaturisce dunque una visione altamente etica del fare architettura. Solo se parte da questa percezione spirituale ed interiore del vivere umano, del vivere civile e sociale, l’architettura sarà capace di essere “bella”, perché “buona”, perché “vera”, perché rappresentativa della dignità e della bellezza della persona umana, giocatasi per il bene comune (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica).
Se queste sono le qualità dell’architettura, le qualità di coloro che fabbricano architetture, allora, quali saranno? Prima di tutto la modestia dei vignaioli che testardamente amano la propria terra e che sanno essere umili, come altri, e non padroni di una vigna non loro; la professionalità che caparbiamente alimenta il proprio sapere tecnico-scientifico per meglio costruire, ma anche la professionalità intesa come il talento del vignaiolo messo a disposizione di tutti e di ciascuno; infine, l’attitudine tipica del vignaiolo saggio che non teme di coltivare il fondamento teorico del proprio fare, perché giunto alla consapevolezza di non essere figlio di se stesso, non solo ha riconosciuto un dono messo a disposizione nelle proprie mani dai suoi avi, ma ha compreso la necessità di coltivare – oltre che la vigna – il proprio campo interiore, la propria mente ed il proprio cuore – quel luogo spirituale di ogni uomo, della ragione e dello spirito assieme.
Un’azione, allora, quella dell’umile e del saggio vignaiolo che, tramite l’attitudine a coltivare lo spazio teorico dentro il fare del costruire, svela e rivela il mistero nascosto e presente nella natura e nello spazio architettonico; un agire spirituale ed etico assieme, affinché tutti gli uomini possano godere della vigna e del frutto della vigna stessa. Un agire spiritualmente rilevante ed eticamente necessario …
Si pensi alle grandi crette di Burri a Gibellina, dove lo spazio diventa un luogo percorso dalle stagioni, un campo coltivato dai pellegrini che vi entrano e che vi escono, una vigna sotto il sole e sotto la luna, simboli del tempo e del richiamo all’eternità … Il grande apprendista fabbricatore di architetture – il giovane apprendista architetto – si fa certamente re, sacerdote, profeta dell’umanità, ma parte dalla vigna e dal suo essere sempre e costantemente vignaiolo, uomo nella natura e uomo come gli altri uomini, uomo in mezzo alla spazio della natura e della cultura, ma uomo – anche – che eleva se stesso, la propria umanità per darle pienezza.
Non è casuale che né la venustas, né l’utilitas, né la firmitas da sole, senza la concinnitas, senza cioè colei che le armonizza o le concilia, possano dischiudere il mistero della “bellezza” perché la “bellezza” è sempre l’umile ancella della grande spiritualità e della grande interiorità dell’uomo e contemporaneamente è l’umile dominio esercitato dall’uomo stesso che mette ordine nel caos per far brillare l’avventurosa stella dell’umanità in mezzo all’universo.
Architettura, allora, che ci fa essere sicuramente dominus – signori e dominatori – ma anche hospes – ospiti di questa terra come vignaioli.
“Architettura” come “bellezza”, come buona e bella notizia, come lume spirituale di chi comprende che la vita è dono da coltivare, da accudire, da difendere, da trasmettere, da valorizzare, da purificare, da emendare, da elevare spiritualmente – certamente secondo ragione.
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