lunedì 29 ottobre 2007

Il dono dell'accompagnamento spirituale (I): la maturità umana per una fede matura.

Oggi, nelle nostre comunità, la traduzione di un modello di “accompagnatore spirituale” esigente, che faciliti l’assunzione di responsabilità personali – ecclesiali, civili, sociali e/o politiche – da parte di tutti, è scarsa probabilmente per la difficoltà di dar vita ad un processo educativo di rigenerazione delle nostre stesse comunità cristiane (anche perché questo processo esige lo sviluppo di una persona libera e matura in grado di accettare il rischio delle proprie scelte, senza far appello agli altri, all’interno della comunità stessa). Affinché ci sia un modello di “accompagnatore spirituale” – esigente – ci deve essere infatti, oltre alla persona “accompagnata” che vive responsabilmente ed in libertà la chiamata dello Spirito assumendosi i propri rischi, una “comunità” ecclesialmente matura che vive la fraternità.
Il modello di “accompagnatore spirituale” che in parte oggi si sta delineando nella Chiesa Cattolica è sicuramente un modello più “laico”, ma sicuramente anche più esigente, non solo perché orientato verso l’ideale di perfezione evangelica – il modello resta sempre ed unicamente Gesù –, ma anche perché postula l’abbandono di false certezze, acquisite mediante il semplice adeguamento ai precetti etico-morali – il “tu devi” – o mediante la propria esperienza di vita (ecclesiale, professionale, civile, socio-politica), o al rinvio al principio di autorità (un’autorità ecclesiastica, ad esempio, o una persona carismatica) e comporta che ciascuno diventi “artefice” della propria chiamata e – in senso culturale – del proprio “destino”, sia l’accompagnatore che l’accompagnato, all’interno di una comunità ed a servizio del bene comune dell’intera società.
Non è un caso che nel modo di vivere la Chiesa oggi – entro una società “individualista” – si presenti questo problema: se le nostre comunità sentano la necessità spirituale di promuovere e sostenere questo modello di “accompagnamento” esigente che implica da una parte la fiducia reciproca fra “accompagnatore”, “accompagnato” e “comunità che accompagna”, e dall’altra l’abbandono di schemi precostituiti, di deleghe, di nomine o di affidamenti senza discernimento.
Il cuore di ogni accompagnamento è e resta il discernimento della volontà del Padre per mezzo del Figlio nella grazia dello Spirito come l’unica possibilità di realizzare il proprio progetto esistenziale (antropologico ed escatologico); oggi, da parte di molte persone è sentita viva ed emergente la domanda di una fede matura – non superficiale – non potendo più fare riferimento ai soli modelli tradizionali, consci che nel proprio vissuto quotidiano e nella propria storia “imperfetta” si trovi il senso ed il portato antropologico, ecclesiale e sociale del dono della fede stessa.
Per sposare questo modello di “accompagnamento spirituale” esigente – un carisma ed un ministero specifico a servizio della comunità che può nascere fra persone consacrate o fra laici – in un cammino vocazionale di maturità di fede e di maturità spirituale, che inizia col discernimento per approdare al “come” vivere in pienezza la fede nella Chiesa ed in mezzo al Mondo, è costitutiva la “libertà” della persona, non solo perché sia una condizione previa ed imprescindibile, ma perché la libertà – derivando dall’atto di fede – è a sua volta l’unico atto che genera scelte responsabili. Si può affermare che la “maturità di fede e spirituale” si sviluppa soltanto nella libertà come risposta cosciente ad una chiamata che è dono dello Spirito Santo. Questo significa che un cammino di maturità di fede e spirituale non può essere imposto a nessuno e neppure può essere condizionato da pressioni esterne che mirano ad intaccare l’autonoma capacità decisionale della persona “accompagnata”, ma allo stesso tempo può innescarsi solo sul terreno fertile di una comunità ecclesiale matura e fraterna in cammino perpetuo attraverso Gesù verso il Padre.
Per la persona “accompagnata” l’inizio di un cammino di maturità di fede e spirituale – sostenuto e guidato da chi ha già raggiunto una maggior maturità, l’“accompagnatore”, appunto – presuppone quindi l’esistenza di almeno due condizioni fondamentali che facilitino il discernimento ed il cammino vocazionale stesso: la libertà ed il supporto di una “comunità” che sappia rendere testimonianza ai valori del Vangelo. Su quali condizioni e su quali relazioni, oggi, la persona in ricerca – in un cammino di maturità di fede e spirituale – si apra alla dimensione del mistero, faccia esperienza della gratuità, coltivi il senso dell’attesa, acquisisca la capacità di rischiare proiettandosi verso l’imprevedibile dello Spirito, è difficile rintracciarlo in mancanza di una realtà ecclesiale – la comunità appunto – che la sostenga e la animi, affinché la sua risposta libera alla chiamata dello Spirito sia la più feconda.
Si rischia, appunto, di intendere, di interpretare il discernimento come un percorso soggettivo ed individualistico, una ricerca della realizzazione, piuttosto che il binomio inscindibile persona-Cristo nel sacramento Chiesa-Comunità. Si tende a relativizzare il discernimento ad un atto umano da compiere “una tantum” e non ad inquadrarlo nel cammino stesso di fede, della maturità di fede e spirituale di una persona quanto di una comunità.
Maturità di fede e maturità spirituale, vita ecclesiale piena ed integrata entro una comunità matura e fraterna, responsabilità e libertà individuale si implicano a vicenda, nel senso che la libertà colora di sé tutta l’esperienza di fede e, nello stesso tempo, è nell’esperienza della fede maturata dentro una comunità fraterna che la libertà riceve il suggello dell’amore divino e spalanca all’imprevedibile della Grazia di Dio.
Per questo, segno di una comunità matura e fraterna è anche un terreno ben curato dai fratelli affinché emerga il carisma di quell’umile ministero che è l’“accompagnatore” – il quale per vocazione si pone a servizio della presenza del Risorto in coloro che richiedono e ricercano maturità di fede e spiritualità autentica al servizio dell’uomo nella fraternità ecclesiale – e per questo, per non lasciar cadere i doni dello Spirito nell’infruttuosità del soggettivismo, è necessario vivere una “fraternità” che sia l’espressione dell’autentica esperienza ecclesiale nella “comunità”. Nessun carisma attecchisce su di un terreno sterile – se non per opera di una Grazia sovrabbondante di nostro Signore – o può portare frutti al di fuori del terreno ben disposto e dissodato da Cristo, curato dai fratelli, protetto dalla comunità, fecondato dalla Parola di Dio, irrigato dallo Spirito, sostenuto dai sacramenti della Chiesa. E’ infatti la “fraternità” il segno forte della maturità ecclesiale al di fuori della quale ogni sforzo personale, in un cammino spirituale, è votato all’insuccesso perché mancante del presupposto essenziale per vivere la Carità sulla quale Cristo ha fondato la sua Chiesa: l’Agape fraterno. Aprirsi con fiduciosa docilità allo Spirito – per tutti coloro che si dispongono a discernere i semi del Risorto lasciati nel proprio cuore – implica il sereno affidamento alla Comunità, mentre una Chiesa che non vive nella costante ricerca dell’autentica fraternità – rinnovandosi e convertendosi giorno per giorno al Risorto – viene meno alla missione affidatagli da Cristo per mezzo del dono del Padre nella grazia dello Spirito: testimoniare l’Amore assoluto di Dio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Well written article.