mercoledì 31 ottobre 2007

Alle radici delle opere

Non è un’intelligenza particolare che ha generato le opere dei cristiani nel mondo, quanto il tentativo di imitare lo sguardo commosso del Dio della Misericordia che con Cristo si è piegato sul bisogno dell’uomo. Nessuno di noi avrebbe mai preso l’iniziativa di stare dalla parte di chi soffre se non avesse incontrato sulla propria strada Gesù. Lui, passando vicino, ha preso l’iniziativa.

Si è trattato solo d’«Amore». Un amore, alle radici delle opere, fantasioso, sovrabbondante, affidato al cuore di ciascuno, a quella intelligenza dell’uomo che si esprime in opere, prima di tutto, di giustizia eppoi di carità, perché la Carità – quella piena, quella vera e che sgorga da un cuore trafitto d’amore – non è resa al povero per ciò che gli è già dovuto per giustizia, ma per sovrabbondanza d’amore … Ricorda, infatti, un padre della Chiesa: «rubare è non vestire gli ignudi» …

Noi cristiani, l’abbiamo scoperto strada facendo: è l’«Amore», una modalità attraverso la quale si generano rapporti nuovi. Tutto questo è possibile rintracciarlo nel quotidiano, da chiunque sta attento al grido di giustizia, al bisogno incontrato, alla voce non ascoltata. Da chiunque inventa forme di condivisione …

Questo "convertirsi" può avvenire per chiunque – credente o non credente – perché col proprio passo ciascuno può giungere alle radici delle opere: al Gesù raccontato nei Vangeli. Il Cristo universale, il Cristo splendente, buono e vero per chiunque …

Per un cristiano, questo è un serio impegno culturale: muoversi indefettibilmente verso gli ultimi della Comunità affinché tutti possano riconoscere il Cristo del povero e nel povero, della vedova e nella vedova, dello straniero e nello straniero …

E’ dalla Bibbia che, con urgenza, continua ancora ad emergere la voce che contrappone al «bene immune» - in cui nessuno si contamina con l’altro, ma anzi lo abbandona a se stesso – il «bene comune». «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povere e il forestiero» (Lv 23,22). Per la Bibbia la condivisione non umilia, anzi rende il «bene comune» che non s’impone e che discretamente si costruisce, lasciando spazio all’altro, perché l’altro ha spazio nel proprio cuore: «Quando farai la mietitura nel campo e vi dimenticherai il mantello, non tornerai indietro a riprenderlo» (Dt 24.19). Il cuore della legge è la giustizia, la giustizia sociale che ammette un solo presupposto ed una sola conseguenza: l’«Amore».

Il cuore della legge è l’«Amore»: amare Dio ed amare l’uomo è amare l’altro se stesso, l’unico prossimo. Se Dio è nella nube, Cristo ci ha insegnato a rintracciarlo nelle opere con il dono della Fede, della Speranza e della Carità …

lunedì 29 ottobre 2007

Il dono dell'accompagnamento spirituale (I): la maturità umana per una fede matura.

Oggi, nelle nostre comunità, la traduzione di un modello di “accompagnatore spirituale” esigente, che faciliti l’assunzione di responsabilità personali – ecclesiali, civili, sociali e/o politiche – da parte di tutti, è scarsa probabilmente per la difficoltà di dar vita ad un processo educativo di rigenerazione delle nostre stesse comunità cristiane (anche perché questo processo esige lo sviluppo di una persona libera e matura in grado di accettare il rischio delle proprie scelte, senza far appello agli altri, all’interno della comunità stessa). Affinché ci sia un modello di “accompagnatore spirituale” – esigente – ci deve essere infatti, oltre alla persona “accompagnata” che vive responsabilmente ed in libertà la chiamata dello Spirito assumendosi i propri rischi, una “comunità” ecclesialmente matura che vive la fraternità.
Il modello di “accompagnatore spirituale” che in parte oggi si sta delineando nella Chiesa Cattolica è sicuramente un modello più “laico”, ma sicuramente anche più esigente, non solo perché orientato verso l’ideale di perfezione evangelica – il modello resta sempre ed unicamente Gesù –, ma anche perché postula l’abbandono di false certezze, acquisite mediante il semplice adeguamento ai precetti etico-morali – il “tu devi” – o mediante la propria esperienza di vita (ecclesiale, professionale, civile, socio-politica), o al rinvio al principio di autorità (un’autorità ecclesiastica, ad esempio, o una persona carismatica) e comporta che ciascuno diventi “artefice” della propria chiamata e – in senso culturale – del proprio “destino”, sia l’accompagnatore che l’accompagnato, all’interno di una comunità ed a servizio del bene comune dell’intera società.
Non è un caso che nel modo di vivere la Chiesa oggi – entro una società “individualista” – si presenti questo problema: se le nostre comunità sentano la necessità spirituale di promuovere e sostenere questo modello di “accompagnamento” esigente che implica da una parte la fiducia reciproca fra “accompagnatore”, “accompagnato” e “comunità che accompagna”, e dall’altra l’abbandono di schemi precostituiti, di deleghe, di nomine o di affidamenti senza discernimento.
Il cuore di ogni accompagnamento è e resta il discernimento della volontà del Padre per mezzo del Figlio nella grazia dello Spirito come l’unica possibilità di realizzare il proprio progetto esistenziale (antropologico ed escatologico); oggi, da parte di molte persone è sentita viva ed emergente la domanda di una fede matura – non superficiale – non potendo più fare riferimento ai soli modelli tradizionali, consci che nel proprio vissuto quotidiano e nella propria storia “imperfetta” si trovi il senso ed il portato antropologico, ecclesiale e sociale del dono della fede stessa.
Per sposare questo modello di “accompagnamento spirituale” esigente – un carisma ed un ministero specifico a servizio della comunità che può nascere fra persone consacrate o fra laici – in un cammino vocazionale di maturità di fede e di maturità spirituale, che inizia col discernimento per approdare al “come” vivere in pienezza la fede nella Chiesa ed in mezzo al Mondo, è costitutiva la “libertà” della persona, non solo perché sia una condizione previa ed imprescindibile, ma perché la libertà – derivando dall’atto di fede – è a sua volta l’unico atto che genera scelte responsabili. Si può affermare che la “maturità di fede e spirituale” si sviluppa soltanto nella libertà come risposta cosciente ad una chiamata che è dono dello Spirito Santo. Questo significa che un cammino di maturità di fede e spirituale non può essere imposto a nessuno e neppure può essere condizionato da pressioni esterne che mirano ad intaccare l’autonoma capacità decisionale della persona “accompagnata”, ma allo stesso tempo può innescarsi solo sul terreno fertile di una comunità ecclesiale matura e fraterna in cammino perpetuo attraverso Gesù verso il Padre.
Per la persona “accompagnata” l’inizio di un cammino di maturità di fede e spirituale – sostenuto e guidato da chi ha già raggiunto una maggior maturità, l’“accompagnatore”, appunto – presuppone quindi l’esistenza di almeno due condizioni fondamentali che facilitino il discernimento ed il cammino vocazionale stesso: la libertà ed il supporto di una “comunità” che sappia rendere testimonianza ai valori del Vangelo. Su quali condizioni e su quali relazioni, oggi, la persona in ricerca – in un cammino di maturità di fede e spirituale – si apra alla dimensione del mistero, faccia esperienza della gratuità, coltivi il senso dell’attesa, acquisisca la capacità di rischiare proiettandosi verso l’imprevedibile dello Spirito, è difficile rintracciarlo in mancanza di una realtà ecclesiale – la comunità appunto – che la sostenga e la animi, affinché la sua risposta libera alla chiamata dello Spirito sia la più feconda.
Si rischia, appunto, di intendere, di interpretare il discernimento come un percorso soggettivo ed individualistico, una ricerca della realizzazione, piuttosto che il binomio inscindibile persona-Cristo nel sacramento Chiesa-Comunità. Si tende a relativizzare il discernimento ad un atto umano da compiere “una tantum” e non ad inquadrarlo nel cammino stesso di fede, della maturità di fede e spirituale di una persona quanto di una comunità.
Maturità di fede e maturità spirituale, vita ecclesiale piena ed integrata entro una comunità matura e fraterna, responsabilità e libertà individuale si implicano a vicenda, nel senso che la libertà colora di sé tutta l’esperienza di fede e, nello stesso tempo, è nell’esperienza della fede maturata dentro una comunità fraterna che la libertà riceve il suggello dell’amore divino e spalanca all’imprevedibile della Grazia di Dio.
Per questo, segno di una comunità matura e fraterna è anche un terreno ben curato dai fratelli affinché emerga il carisma di quell’umile ministero che è l’“accompagnatore” – il quale per vocazione si pone a servizio della presenza del Risorto in coloro che richiedono e ricercano maturità di fede e spiritualità autentica al servizio dell’uomo nella fraternità ecclesiale – e per questo, per non lasciar cadere i doni dello Spirito nell’infruttuosità del soggettivismo, è necessario vivere una “fraternità” che sia l’espressione dell’autentica esperienza ecclesiale nella “comunità”. Nessun carisma attecchisce su di un terreno sterile – se non per opera di una Grazia sovrabbondante di nostro Signore – o può portare frutti al di fuori del terreno ben disposto e dissodato da Cristo, curato dai fratelli, protetto dalla comunità, fecondato dalla Parola di Dio, irrigato dallo Spirito, sostenuto dai sacramenti della Chiesa. E’ infatti la “fraternità” il segno forte della maturità ecclesiale al di fuori della quale ogni sforzo personale, in un cammino spirituale, è votato all’insuccesso perché mancante del presupposto essenziale per vivere la Carità sulla quale Cristo ha fondato la sua Chiesa: l’Agape fraterno. Aprirsi con fiduciosa docilità allo Spirito – per tutti coloro che si dispongono a discernere i semi del Risorto lasciati nel proprio cuore – implica il sereno affidamento alla Comunità, mentre una Chiesa che non vive nella costante ricerca dell’autentica fraternità – rinnovandosi e convertendosi giorno per giorno al Risorto – viene meno alla missione affidatagli da Cristo per mezzo del dono del Padre nella grazia dello Spirito: testimoniare l’Amore assoluto di Dio.

domenica 28 ottobre 2007

Essere, dover essere, voler essere

Da te -ricco - io appresi povertà,
di piccoli tesori milionaria -
quelli che può vantare una bambina ...

(Emily, 299)

lunedì 22 ottobre 2007

Il bacio non dato

«La vita non è statica, ma estatica. In cammino verso qualcosa che è al di là da sé. L'essere è estasi, è divenire, movimento, diffusione di sé. attrazione. La vita avanza per passioni non per ingiunzioni. E la passione nasce da una bellezza. Acquisire fede è acquisire bellezza del vivere: è bello amare, sposarsi, generare, godere della luce e degli abbracci, gustare l'umile piacere di esistere; è bello essere di Dio ed insieme del mondo; è bello attendere e stare con l'amico perchè tutto va verso un senso luminoso e positivo, nella finitezza e nell'infinito. La vita non è etica, ma estetica. Nel suo senso letterale estetico significa sensibile; il suo contrario non è il brutto, ma – letteralmente – l'anestetico, l'insensibile, l'immobile. Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità,necessaria per essere felice. Possiamo negarla ma non eliminarla. La dimensione degli affetti, fondamentale per l'equilibrio della persona, necessaria per vivere (se non amiamo, non viviamo:1 Gv 3,14) e per vivere con gioia, è un autentico luogo teologico: l'amicizia rivela qualcosa di Dio. Ogni vivente nasce come persona appassionata, e quel malinteso spirito religioso che ci spinge a negare le nostre passioni inaridisce le sorgenti della vita e rende molti cristiani predicatori di cose morte. Bisogna non tanto soffocare, ma convertire le passioni; non raggelare ma liberare i desideri per desiderare Dio. Soltanto chi ama la vita è sensibile al richiamo del Vangelo: “Sono venuto perchè abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

- Ami la vita?
- Sì amo la vita
- Allora hai fatto metà del cammino (F.Dostoevskij, I fratelli Karamazov)

Pascal afferma che la caratteristica di un'anima grande e pura è amare con passione, senza quella avarizia di sentimenti, senza quella parsimonia di emozioni con cui gestiamo abitualmente le nostre relazioni. La santità non consiste nella moderazione dei sentimenti. Dov'è mai questa moderazione nella Bibbia? (D. Bonhoeffer).

Se Dio è amore, lo si trova solo amando, non attraverso formule. Camminando attraverso l'umano si troverà Dio. Le nostre relazioni sono l'invenzione con cui Dio ci ama e ci insegna l'amore … L'amicizia, lo stare con l'amico o l'amica, è una rivelazione dell'innocenza e dell'eterna infanzia di Dio. Questa infanzia così facile al sorriso, al bacio, sempre pronta al gioco. Età incantata che non deve produrre o lavorare per sentirsi vera, ma che ha gioia; che non conosce l'ansia, talvolta la tortura, di perseguire un senso che trascende, una vita fatta di scopi. Infanzia: innocente preda di amori. Infanzia spirituale: paga di sè, del proprio dono, del miracolo di esistere insieme «L'amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l'appello a destarci ed a dire l'uno all'altro: felice!» (Epicuro).

Stare con l'amico è l'esperienza che da sola basta a riscattare i giorni oscuri, a redimere ore vuote e amare. “Gesù ne scelse dodici perchè stessero con Lui” (Mc 3,14) e poi, solo dopo, solo dopo l'esperienza di aver fatto casa insieme, dopo la costruzione di un legame che è la verità dell'uomo, li manda a predicare. Ma A DUE A DUE. Senza cose, ma non senza un amico. Un bastone per appoggiarvi la stanchezza, un amico per appoggiarvi il cuore …

L'amicizia è una risposta al desiderio che ti fa incontrare l'assoluto di ciascuno»

(tratto da “I baci non dati” di Ermes Ronchi)

domenica 14 ottobre 2007

Fede, sessualità e ... Tra fragilità e peccato: la Grazia preveniente

Fede, sessualità e ... il contorno di tutte le relazioni. Un trinomio inscindibile, disarmante ogni visione individualistica; un trinomio mal gestibile – sicuramente, anzi umanamente difficile – eppure, anche su questo risplende la luce del Cristo, perché in tutto il mondo creato pulsa la vita del Cristo.

Affrancarsi da una visione morale della fede e della sessualità, così come di una visione onanista, edonista, individualista, consumista, significa incamminarsi sulla strada della relazionalità dove acquista significato parlare di fede, sessualità e ...

Abbandonare la sessualità, significa mortificare la persona e lasciarla in un lato oscuro, anziché farla partecipe della gloria del Risorto. D’altra parte, abbandonare la fede, significa glorificare la vita affettiva, sentimentale e sessuale vedendo in queste energie vitali l’unico istinto capace di resistere alla morte. Scinderle, allora, significa dimenticare un Dio umile e presente fin nelle origini della nostra specie, fin dagli albori della nostra nascita; scinderle significa non rintracciare il significato personale di una chiamata e di un cammino.

Dunque, fede e sessualità, già un binomio arduo e difficile, ma comprensibile ed ostinatamente da tenere vivo e vicino, vivo ed efficace.

Il passo ulteriore, allora, è sicuramente non scindere il binomio dalla relazionalità. In questa visione ha dunque molta rilevanza parlare di “Fede, sessualità e ... famiglia, bambini, giovani, anziani, malati”, ad esempio, perché in ogni età della vita, ciò che noi sentiamo scorrere come un fermento e come un tormento, la sessualità appunto, ci appartiene e non ci abbandona, e costantemente ci interpella tramite l’attrazione, chiedendoci di aprire al nuovo, al diverso, all’indesiderato, e chiedendoci di usare la ragione ed il cuore per capire quali scelte operare ...

Però, in quella ragione ed in quel cuore, noi credenti vediamo anche la luce della fede, per cui parlare di fede senza la sessualità, sarebbe come idealizzare; mentre parlare di sessualità senza il discernimento dell’oltre alla vita terrena, sarebbe parlare di un uomo diviso a metà e mancante di una sua parte. Infine, parlare di fede e di sessualità senza interpellare tutte le nostre relazioni, sarebbe mitizzare sia la fede che tutti gli innumerevoli - presunti o tali - generi sessuali che culturalmente oggi sono presenti.

Fede, sessualità e rapporti/relazioni ci interpellano inesorabilmente, inscindibilmente, instancabilmente assieme perché scaturiscono dall’intimo del nostro esistere, dall’enigma e dal mistero che ci portiamo dentro come un progetto che attende di essere illuminato per perseguire il suo obiettivo.

Enigma e mistero, un progetto che chiede vigilanza e presenza, autenticità e conversione, natura e grazia. Forse sta qui la scaturigine di questo trinomio inscindibile: “fede, sessualità e ...”, di questo progetto che instilla nei pensieri – fin dal momento che abbiamo coscienza di vivere – la ricerca della libertà, della giustizia, dell’amore, della felicità ...

Le persone non sono tali in quanto individui, ma la loro – nostra – identità si manifesta e si realizza – sempre più – nel corso del tempo nelle relazioni, in rapporto a qualcuno (non a qualcosa di inanimato: ad una idea, ad una necessità/bisogno, ad un desiderio, ad una passione).

Tant’è vero che l’attrazione ci obbliga ad uscire allo scoperto, ad ammettere la nostra fragilità, ad ammettere – per la nostra pienezza – l’altro, l’altra persona, non solo me stesso.

Quindi non ha senso parlare di “orientamenti” o di “identità” se non riusciamo ad allargare la discussione – da un mondo ristretto, ma necessario quale quello scientifico con le sue ricerche e scoperte in campo genetico, biologico, psicologico, sociologico etc. – ad un modo di vedere la persona nel suo tessuto relazionale, in cui fede, sessualità ed ogni rapporto contribuiscono alla sua crescita, ai suoi orientamenti, alla sua identità e al suo progetto di vita, appunto.

Noi siamo chiamati a liberare le persone affinché - nell’incontro salvifico col Risorto - scoprano la loro vera vocazione, la pienezza della loro realizzazione; siamo chiamati a sostenere il cammino di ciascuno affinché enigma e mistero si svelino e si rivelino in ciascun progetto di vita in cui Cristo è fonte e volto autentico, non obbrobio od oppressione.

Tutto questo rientra nella fragilità delle persone e delle posizioni culturali, tutto questo richiama il senso del peccato – non della colpa o del senso di colpa – e ci mostra il candore e lo splendore dei limiti umani nel saper affrontare qualcosa che è ben più grande di noi: la fede, appunto, così come la forza rivoluzionaria della sessualità; o se vogliamo l’enigma ed il mistero.

Liberare dai sensi di colpa, dagli inutili sentimenti che opprimono, è il primo portato della Grazia preveniente, del soffio spirituale di un Dio misericordioso, tenero e compassionevole, che è presso di noi fin dagli albori.

La generosità di ogni relazione ci induce a meditare, a farci umili, a lodare.
Se non faremo così lasceremo tutta la nostra vita condotta dagli istinti, ma gli istinti non rivelano né l’enigma, né il mistero, né tanto meno riescono ad oltrepassare la morte o a dare un senso al nostro impegno nella società o verso gli altri.

Affrontare il trinomio inscindibile aiuta, dunque, anche ad affrontare altri campi del vivere umano, come ad esempio “fede, sessualità e ... professione”, “fede, sessualità e ... politica”, oppure “fede, sessualità e ... omosessualità”, “fede, sessualità e ... transessualità”, “fede, sessualità e ... riscoperta del creato”. Ma aiuta anche ad affrontare i campi del vivere del credente, del cristiano, del campo ecclesiale: “fede, sessualità e ... comunità”; “fede, sessualità e ... pastorale” non sono oggi aspetti né secondari, né da sottovalutare.

In fin dei conti il trinomio indissolubile, che lega fede, sessualità e relazionalità, ci impegna a riflettere tra fedeltà e discernimento della chiamata - che ciascuno di noi riconosce nel suo essere enigma e mistero - per il bene comune; una chiamata che per un cristiano è voce di Cristo, ma che per un non credente è comunque profonda ricerca di senso.

Anche la continenza – ovvero la castità, che non è mai l’assenza di sessualità – in tale ragionamento, allora, acquista un significato profondo, poco moraleggiante e ricco di senso, perché apre le porte a vivere la fede, la sessualità e ... la Carità in maniera originale, creativa e mai castrante.

Portare luce – tramite la fede – significa rintracciare un senso vero ed autentico – nelle cose ordinarie presenti in natura – e riordinare, esaltare le proprie potenzialità per il bene comune, che è sempre quello di ciascuno e di tutti assieme, al di là di ogni tabù.

lunedì 8 ottobre 2007

Antologia di Spoon River - di Edgar Lee Master - e San Miniato al monte

Ieri, domenica 7 ottobre, a San Miniato al Monte - nel bel cimitero monumentale delle porte sante - 37 attori, ciascuno vicino ad una bara, hanno recitato a ciclo continuo 37 poesie tratte dall'antologia di Spoon River ...
Eccone alcune:

33. Sarah Brown

Maurice ... Maurice, non piangere, non sono qui sotto il pino.
L'aria mite della primavera sussurra nell'erba dolce,
le stelle scintillano, il caprimulgo chiama,
ma tu ti rattristi, mentre la mia anima è rapita
nel Nirvana beato della luce eterna!
Va da quell'anima gentile di mio marito,
che rimugina su quello che lui chiama il nostro colpevole amore: -
digli che il mio amore per te, non meno del mio amore per lui,
ha forgiato il mio destino - che attraverso la carne
ho raggiunto lo spirito, e attraverso lo spirito, pace.
Non ci sono matrimoni in cielo,
ma c'è amore.

80. Francis Turner

Da ragazzo
non potevo correre né giocare.
Da uomo potei solo sorseggiare dalla coppa,
non bere-
perché dopo la scarlattina m’era rimasto il cuore malato.
Eppure riposo qui
consolato da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole dolci di viti-
là, quel pomeriggio di giugno
a fianco di Mary-
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra
l’anima d’un tratto volò via.

207. Lucinda Matlock

Andavo a ballare a Chandlerville,
e giocavo a carte a Winchester.
Una volta ci scambiammo i cavalieri
al ritorno in carrozza sotto la luna di giugno,
e così conobbi Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,
divertendoci, lavorando, crescendo dodici figli,
otto dei quali ci morirono,
prima che arrivassi a sessant’anni.
Filavo, tessevo, tenevo in ordine la casa, assistevo i malati,
curavo il giardino, e alla festa
andavo a zonzo per i campi dove cantavano le allodole,
e lungo lo Spoon raccogliendo molte conchiglie,
e molti fiori ed erbe medicinali—
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos’è questa storia di dolori e stanchezza,
e ira, scontento e speranze cadute?
Figli e figlie degeneri,
la vita è troppo forte per voi—
ci vuole vita per amare la vita.

213. Marie Bateson

Vedete la mano scolpita
con l’indice puntato al cielo.
E’ quella la direzione, non c’è dubbio.
Ma come si fa a seguirla?
E’ giusto astenersi dall’assassinio e dalla lussuria,
perdonare, fare il bene, adorare Dio
e non le sue immagini scolpite.
Ma in fondo questi sono mezzi esteriori
con cui soprattutto si fa del bene a se stessi.
Il nocciolo della questione è la libertà,
è la luce, la purezza—
di più non so dire,
trovate voi il fine o mancatelo, secondo la vostra visione.

222. Faith Matheny

Lì per lì non saprete cosa vogliono dire,
e forse non lo saprete mai,
e forse non ve lo diremo mai:
questi bagliori improvvisi dell’anima,
come folgori guizzanti su candide nubi
a mezzanotte quando c’è la luna piena.
Arrivano in momenti di solitudine, o forse
siete con un amico, e all’improvviso
cade un silenzio nel discorso, e i suoi occhi
senza un fremito vi guardano ardenti:
avete visto insieme il segreto,
egli lo vede in voi, e voi in lui.
E restate là trepidanti nel timore che il mistero
vi si pari davanti e vi colpisca a morte
con un fulgore simile al sole.
Siate coraggiose, anime che avete simili visioni!
Mentre il vostro corpo è vivo, come il mio è morto,
voi catturate un piccolo alito dell’etere
riservato a Dio stesso.

giovedì 4 ottobre 2007

San Fancesco '07

E' onere del cristiano rendere giustizia: vestire gli ignudi, dare da mangiare a chi non l'ha, procurare del lavoro ...
Vivere il proprio quotidiano come se non fosse proprio, ma da rendere; da rendere sempre a qualcuno ...

E' onere del cristiano avere un debito di gioia nei confronti di chi non ha, dilapidarsi, consumarsi per rendere giustizia ...

E' dando che si rende giustizia.
Dando si rende ciò che non è nostro
e dando ciò che non è nostro si ristabilisce giustizia.

Imparare ad essere liberi rispetto a ciò che si ha rendendolo ...

Liberarsi di noi stessi nel dono è rendere giustizia
ed è vivere la gioia profonda dell'incontro profetico con un altro uomo ...

Non fai opera di carità dando,
ma rendendo giustizia cominci a vivere la Carità:
Cristo in terra, Signore dell'uomo
nella sua libertà e nella sua chiamata.

4 ottobre 2007

Il Cantico delle creature di san Francesco

(Dal codice 338 della Biblioteca del Sacro Convento di Assisi
con qualche minimo adattamento e la divisione in strofe).

Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e l'honore
et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfanno,
et nullo homo ene digno te mentovare.

Laudato sì, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messer lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l'hai formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sora acqua,
la quale è molto utile
et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte;
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

Laudato si', mi' Signore,
per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengon infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke le sosterrano in pace
ka da te, Altissimo, saranno incoronati.

Laudato si', mi' Signore,
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo vivente pò skappare.

Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda nol farà male.

Laudate et benedicete mi' Signore et rengratiate
e servitelo cum grande humilitate.

mercoledì 3 ottobre 2007

Dove siete persone care?

Non so se stupirmi – della bellezza dei blog – o lasciarmi acconcio – ma indifferente – come un verginello che vorrebbe – però non osa – oppure essere semplicemente grintoso e lottare – nell’agone mediatico – per coloro – e non per una cosa, una idea, un idealismo, o una passione – che si ama ...

Trasformarsi in un blog – privilegiando questa forma di comunicazione – è scriteriato, ambiguo, alienante ... Il blog è “lettera morta di un vivente” ...

Bellissime riflessioni, davvero non scherzo, quelle che leggo nei blog. Amo i blog, non fraintendetemi: immagini, movie fai da te, filmati scaricabili di ogni tipo, riflessioni, diari in linea, modi di conoscersi e di giungere dove fino a ieri mai nessuno sarebbe potuto arrivare ... Però, bellissime riflessioni, davvero – dico sul serio – sui blog, ma ...

Ma questo uso dei blog che sostituiscono le relazioni – vere o presunte vere, ma sempre relazioni – con “relazioni” gestite nella solitudine e nella distanza delle passioni condivise, cosa è?

Internet è, forse, più vero del sesso e degli amici?
Bellissimo paradosso, non trovate?

Gli scambi epistolari – ma anche le attuali mail – sono altra cosa.
Sono, davvero, ben altra cosa ...
Nello scambio epistolare c’è il desiderio ricordato e quello atteso ... la preparazione di quello futuro ...

Dove c'è la carne, c'è il futuro, perché lì vive il presente ...
Carne e Parola, binomio inscindibile, come Corpo ed Anima ...

Ora, invece, si dice: “leggi il mio blog!”, come se trasformarsi in un blog possa sostituire la vita reale con un’altra vita reale, ma codificata da noi stessi con una scommessa di autosufficienza per vivere un frammento di scambio umano e reale. E se anche c'è chi non lo dice esplicitamente, chi si ritira nel blog vive una vita non affacciata alla finestra, ma semplicemente appesa ad un’immagine del proprio occhio riflessa in una finestra che non sente il freddo ...

Dove è l’uomo? Dove è l’umano?
Dove è il sogno che obbliga alla vita?
Dove è l’attrazione che mette in crisi l'uomo
e lo induce a venir fuori, a stare nudo di fronte a tutti, nel bel mezzo della strada del mondo?

Dove è tutto questo?
Certo, pure nel frammento significativo e bellissimo di un blog che non amo, trovo infine il volto nascosto di colui che in quel blog frammentariamente risiede, ma ...

Ora, il blog spesso è solo l’immagine di una immagine, di una passione, meno spesso di un sogno o di una attrazione ... Tanto meno è il diario “intimo” di due persone ... Al massimo diventa la complicità autocompiaciuta di un gruppo ristretto: una piccola loggia dalla quale ironizzare, osservando il mondo giudicato “diverso”, quando il diverso si è ritirato nella loggia ... A volte è un grido non urlato, a volte una prova di combattimento, altre volte è un impudente verginello ...

Così, quando leggo alcuni di questi bellissimi blog – dei quali ammiro sagacia, intelligenza, finezza intellettuale, nozionismo, capacità critica, bellezza e gusto, spirito d'avventura e coraggio, sfrontatezza ed erotismo – guardo, ma seppur allungo la mano a toccare il collo, la faccia e le labbra o la stessa bellissima lettera ... Ecco, esplodere la bolla, non dell'illusione, ma dell'uomo che è rimasto nel blog ... e non c'è ...

Dove siete persone care?
Perché, qui voi mancate ...

Cosa è una loggia adorna delle cose amate per vivere, quando fuori resta un’uomo che muore e che chiede ...
Spesso un povero muore nel non essere visto da chi lo guarda ma continua a vederlo ...

Felicino Cuor Contento