giovedì 30 ottobre 2008

Assenza - Presenza

Da " Il postino fedele " di Rosita Copioli.

Assenza e presenza
sono forze vive
ambigue.
Credi che siamo tu e io
a determinarle?
Che dipendano da noi
è certo.
Ma da noi hanno preso
autonomia.
Assenza è sicura della presenza
non si lamenta come credi.
Presenza è oro, gioia pura
più dell'acqua suprema,
e riversa oro e stille
sulla sorella, l'assenza,
che geme di ricchezza
e lacrime.
Assenza mia, mia presenza,
specchio di te,
tua copia, tuo simulacro,
no: immagine delle immagini.

domenica 12 ottobre 2008

Più degna di vederlo potrò essere

Emily Dicknson: J968 (1864) / F834 (1864)

Fitter to see Him, I may be
For the long Hindrance - Grace - to Me -
With Summers, and with Winters, grow,
Some passing Year - A trait bestow

To make Me fairest of the Earth -
The Waiting - then - will seem so worth
I shall impute with half a pain
The blame that I was chosen - then -

Time's to anticipate His Gaze -
It's first - Delight - and then - Surprise -
The turning o'er and o'er my face
For Evidence it be the Grace -

He left behind One Day - So less
He seek Conviction, That - be This -

I only must not grow so new
That He'll mistake - and ask for me
Of me - when first unto the Door
I go - to Elsewhere go no more -

I only must not change so fair
He'll sigh - "The Other - She - is Where"?
The Love, tho', will instruct me right
I shall be perfect - in His sight -

If He perceive the other Truth -
Upon an Excellenter Youth -

How sweet I shall not lack in Vain -
But gain - thro' loss - Through Grief - obtain -
The Beauty that reward Him best -
The Beauty of Demand - at Rest -

sabato 11 ottobre 2008

Non dimentico la tua parola

Dal libro del profeta Michea: Mic 6,8

Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio.

lunedì 29 settembre 2008

Alla ricerca del vero volto di questa esistenza

Dal libro di Giobbe: 1,1.6-22

C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male. [...]
Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a satana: "Da dove vieni?". Satana rispose al Signore: "Da un giro sulla terra, che ho percorsa". Il Signore disse a satana: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male". Satana rispose al Signore e disse: "Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!". Il Signore disse a satana: "Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui". Satana si allontanò dal Signore.
Ora accadde che un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: "I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi, quando i Sabei sono piombati su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo".
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato io solo che ti racconto questo".
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo".
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro fratello maggiore, quand'ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato io solo che ti racconto questo".

Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:
"Nudo uscii dal seno di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore!".

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

giovedì 25 settembre 2008

Conduce in questa vita un frammento di luce...

Dalla prima lettera di San Pietro Apostolo: 1 Pt 1,6-9

"Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo; voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime".

mercoledì 9 luglio 2008

Viaggiare, visionare, visitare, modi di frequentare un Congresso Internazionale

Ci sono occasioni di confronto e di modestia professionale che non dobbiamo lasciarci sfuggire. Il fuori congresso, seppur non paragonabile per ricchezza al fuori salone milanese, è stato una piccola gemma all’interno del Congresso internazionale organizzato quest’anno a Torino. Vorrei suggerire solo alcuni percorsi, non tanto illustrarli.

Una prima evidenza è stata che Torino si è educata all’architettura; nel mentre al Lingotto si svolgeva il XXIII Congresso Mondiale di Architettura, ovunque in città, una piccola mostra, un evento ha fatto esperire ai cittadini l’architettura come parte della città, che l’architettura è un “valore” che le città formano, costruiscono per il bene comune e per le generazioni future. Si può dire amenamente che senza cultura l’uomo resta schiavo della clava, seppur grotte, palafitte e capanne conservano tutta la cultura che l’uomo ha sempre espresso in ogni epoca, affrancandosi sempre di più dalla naturalità selvaggia. Potremo dire che l’architettura segue anche i passi della democrazia, oltre che dei totalitarismi.

Mi sarei aspettato grandi mostre organizzate dai vari paesi invitati al Congresso internazionale, eppure se deluso da Cina, Giappone e Russia ho allo stesso tempo trovato fervide e ricche di spessore le piccole mostre organizzate dalla Repubblica Slovacca e dalla Turchia, ad esempio. Si può imparare ad essere architetti, oggi, non essendo nessuno oppure essendo un architetto da taccuino, un viaggiatore sprovveduto ed imprudente? Viaggiare, visionare, visitare sono termini e modi per frequentare un congresso come per interpretare la professione di architetto.
Nel mondo dell’architettura moderna ci sono linguaggi, meglio sarebbe dire mode, che sicuramente attraversano i tempi e gli spazi – non è difficile leggere nel numero maggiore dei casi mostrati nel fuori congresso torinese i soliti stilemi sia ad Istanbul che a Pechino – ma allo stesso ci sono “scuole” di pensiero dove eticamente si conservano modalità di approccio alla professione che implicano la tradizione e la modestia del professionista. Ebbene, ho imparato nel vedere il padiglione della Slovacchia che si può essere premiati per un concorso non abiurando il contatto col proprio territorio, ed ho imparato visionando le opere in mostra al padiglione turco che si può essere moderni senza essere etnicamente irriconoscibili. Una bandiera, a volte, non è segno di rigidezza, ma di nazionalità, di storia, di valori da scambiare nel mondo per il bene comune. Certamente, ho visto in questi paesi un attaccamento alle proprie radici che nel moderno mondo italiano sembrano scomparse.
Non si deve essere obbligatoriamente internazionali, come neppure vernacolari, ma l’architettura di questo tempo può permettersi di comunicare conoscenza sia dal passato che dalla modernità. Il recupero di un’architettura di qualità – dentro le nostre città sempre più drasticamente invivibili – sta avvenendo anche grazie al recupero di tecniche ed esperienze pre moderniste, oltre che ideologicamente ecologiste, e senza abiurare le conoscenze tecnologiche dell’inizio di questo secolo energivoro. Ci salverà la bellezza e la tecnologia?

Ho scoperto, passeggiando per Torino, che può esserci un uso saggio dei moderni mezzi di simulazione virtuale, potenti ed a volte violenti, quando si vuole far sperimentare al “moderno” studente di architettura, come al comune cittadino, che cinquantanni fa un certo Le Corbusier diede vita con alcuni suoi amici, all’interno di un padiglione, ad un concerto elettronico in cui lo spettatore era stimolato acusticamente e visivamente. Tema del concerto? L’umanità, l’evoluzione dell’umanità. Si può essere “moderni” anche essendo antichi, recuperando costantemente valori che sono prima di ogni nascita umana. Anche questo è parte di una visione etica dell’architettura, prima che estetica.

Ci si può imbattere anche nel padiglione della municipalità madrilena dove esaustivamente è stato mostrato il grande intervento pubblico per le abitazioni sociali. Inizialmente un grosso pannello indicava i quartieri, le nuove zone di espansione pianificate secondo una nuova regolamentazione, successivamente tre grandi pannelli mostravano la pianificazione urbana dei quartieri in via di costruzione, passando oltre un video illustrava la grande opera intrapresa per affrontare un problema strutturale in una società in continuo sviluppo, mentre una trentina di pannelli mettevano in mostra con dettagli costruttivi, plastici e video, ogni singolo progetto disegnato da studi professionali invitati a misurarsi – come tessera di un mosaico – dentro un unico puzzle. Infine, due appartamenti tipo di due edifici tipo sono stati stampati a terra perché l’architetto avventore – esattamente come me – potesse procedere a sperimentare sulla propria pelle ciò che in Spagna non solo si sta tentando di fare, ma si sta facendo, avendo bene in mente che l’unica urbanistica possibile è quella costruita.

Giovani architetti tedeschi, al riparo del politecnico di Torino e dentro al Lingotto, hanno fatto poi bella mostra non tanto di virtuosismi, ma di eleganza e di buona architettura moderna.

Che dire, infine? Sicuramente a noi italiani manca un quadro normativo di riferimento tale da interpretare le necessità della società moderna e di far fronte alle necessità sociali con un’architettura che parla la stessa lingua dall’urbanistica all’edilizia.

Filippo Boretti
Architetto da Prato


* per chi fosse curioso:
http://www.flickr.com/photos/felicinocuorcontento/collections/72157606048640322/

domenica 8 giugno 2008

Tieniti al mondo; l'ora importante...

Dietrich Bonhoeffer
DBW 10,512s.

"Moderni o antimoderni, questa domanda è più che mai attuale e sta dietro a tutti gli interessi, non soltanto nell'ambito della moda o della salute, ma in tutti gli altri ambiti, nella scienza, nella letteratura, nella religione. Servite il tempo (Rm 12,11), in questo motto si dividono gli spiriti: gli uni acclamano semplicemente ciò che è moderno, gli altri, consapevolmente antimoderni, guardano addietro al buon tempo antico. Alla domanda: vuoi tu essere un uomo moderno?, i primi rispondono dunque decisamente 'sì' e i secondi altrettanto decisamente 'no'. Come si pone davanti a questo colui che si dice cristiano? come si pone davanti al cambiamento dei tempi, deve pensare in modo progressistico o conservatore, dev'essere moderno o antimoderno? Il problema fondamentale di ogni cristiano è evidentemente quello dell'eternità. Come ottengo in mezzo al tempo l'eternità? Qui c'è soltanto una via: fuoriuscire dal tempo, divenire indifferenti di fronte a tutto ciò che qui accade, vivere soltanto dell'eternità. Ma l'espressione 'servite il tempo' ci dice il contrario: volete trovare l'eternità, allora servite il tempo. Che immensa contraddizione deve sembrarci questa espressione: vuoi ciò che non passa, tieniti a ciò che passa, vuoi l'eterno, tieniti al temporale, vuoi Dio, tieniti al mondo".

Dietrich Bonhoeffer
DBW 10,514.

"Il presente è l'ora della piena responsabilità di Dio verso di noi, ogni presente; oggi e domani, il presente nella sua intera realtà e pluriformità; nella storia universale vi è sempre e soltanto un'ora importante, quella del presente. Chi fugge dal presente, fugge il tempo di Dio, chi fugge dal tempo, fugge Dio. Servite il tempo! Il signore del tempo è Dio, la svolta dei tempi è Cristo, il giusto spirito del tempo è lo Spirito Santo. Così, in ogni istante si nascondono tre cose: che io riconosco Dio come il signore della mia vita, che mi piego davanti al Cristo come al punto di svolta della mia vita deal giudizio alla grazia, che tento di creare spazio e forza in mezzo allo spirito del mondo per lo Spirito Santo [...]. Servire il tempo non significa divenirne schiavi, non significa approvare ciò che è attuale, soltanto perché lo è. Al servizio appartiene la forza della propria volontà e delle proprie idee, e non la debolezza del rincorrere e dell'acclamare; non significa: servire la moda, ma servite il tempo. La moda è ciò che gli uomini fanno comunque, sia che sia buono o disprezzabile. Il tempo è ciò che fa Dio e non ciò che servono gli uomini; servire Dio significa servire il tempo".

brani tratti da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

giovedì 8 maggio 2008

Per un'etica della città

La Città delle Scienze e delle Arti ed il porto dell'America's cup di Valencia integrati in una città che si è saputa rigenerare dalle sue fondamenta.

Tutto ciò che è umano mi interessa, anche se spesso non è esteticamente moderno ed accattivante, ma ogni trasformazione di città – seppur è interessante – ha un costo umano (sociale, economico, culturale, religioso etc.) e dunque può esser bella, vera e buona a seconda del bene comune che riesce a produrre per i propri cittadini-abitanti. C’è infatti un paradosso che è alla base del nostro essere architetti in giro per il mondo – nuovi giapponesi capaci di catturare immagini ovunque – ed è quello di essere sempre meno cittadini-abitanti di Città e sempre più cittadini-consumatori di eventi e di parchi tematici prodotti o sotto-prodotti dalla globalizzazione; pronti, cioè, ad essere sensibili nei confronti di un’etica dell’estetica, piuttosto che nei confronti dell’etica della Città…

Che giudizio si dà a Valencia, cogliendo le grandi opere della Città delle Scienze e della Arti – di Santiago Calatrava – e del Porto America’s Cup con la realizzazione prossima futura del nuovo circuito di Formula 1 e l’intervento di David Chipperfield? Valencia è più una città globalizzata – resa simile a tante altre dal mondo della finanza e da un indistinto international fashion stile – o è piuttosto un luogo salvato ma morto a livello globale?…

Questo mio primo reportage – da scrittore e da fotografo – cerca di entrare nel cuore di questa etica e di questa città con tutti i limiti di chi visita e non vi abita (http://www.flickr.com/photos/felicinocuorcontento/).

Valencia è a mio modo una Città glo-cal (fra il globale ed il locale), anzi una solida città che ha integrato nel suo presente locale – pensato ed organizzato fin dagli anni ‘80 – le risposte essenziali da dare prima di tutto ai propri cittadini-abitanti, dove la cosiddetta architettura da copertina risulta oggi – seppur magniloquente e monumentale – marginale rispetto all’impianto vasto, coeso e funzionante della città. A Valencia si percepisce una visione alta della politica, sia dei cittadini che degli amministratori, dove ciascuno sembra capace di pensare al bene comune e non solo ad amministrare il dato corrente senza immagine per il futuro (un bene altrettanto comune e necessario per le generazioni avvenire…).

Proviamo a tirare una linea, a fare le somme per vedere se il risultato della Valencia contemporanea può considerarsi positivo allora.

Per prima cosa Valencia è una città dove l’evidente vastità della sua anonima ed amorfa periferia – a volte squallida – trova l’essenziali risposte all’irrinunciabile necessità di benessere e di relazione dei cittadini nel letto di un fiume – il Turia – oramai privo di acqua e trasformato in un enorme parco verde attrezzato, mosso e vario, spina dorsale di tutta intera la città. Su di esso si affacciano interi quartieri cittadini, è attraversato da strade e linee metropolitane, è arricchito da piste ciclabili e percorsi pedonali, da campi sportivi e da giardini per ogni età, da luoghi di ritrovo all’aperto o al riparo delle intemperie per un sano vivere civico. Ma Valencia – ed è il suo secondo aspetto – è anche la città che, ai margini di se stessa, alla foce del fiume inesistente e nel porto marittimo decaduto, ha trovato risposte ad altre attese da sempre tenute vive quali quelle di una città secolare, ricca di cultura e di beni, cresciuta grazie al lavoro dei mercanti valenciani in giro per il mondo: essere inter-nazionale. La costruzione di una città nella città, o se vogliamo di un parco nel parco – presente nel letto del fiume Turia – quale è stata la realizzazione della Città delle Scienze e delle Arti di Santiago Calatrava, il più celebre dei valenciani viventi, ingegnere/architetto – enormi, magniloquenti e monumentali architetture, veri mammuth tecnologici della modernità – e la trasformazione del bacino portuale decaduto in un nuovo terminale finanziario capace di richiamare eventi mediatici internazionali, quali l’America’s cup o il prossimo gran premio di Formula 1, rappresenta il respiro ed il volto internazionale della Valencia contemporanea.
Valencia glo-cal: globale per il cittadino-consumatore chi proviene da fuori e da dentro la città contemporanea, e locale per il cittadino-abitante della municipalità valenciana. Valencia sia per le famiglie che per la finanza, sia per la comunità valenciana che per la Spagna, che per i cittadini-turisti-consumatori dell’Unione Europea od extracomunitari… Valencia, dunque, un affare mediatico – capace di attrarre capitali stranieri – riuscito perché rispettoso della Città?
Quello che si nota camminando per giorni dentro il letto del Turia – deviato dall’uomo/recuperato dall’uomo – è che il corso del fiume verde, del parco al posto del fiume, collega e non separa le due città presenti nella città di Valencia – la città storica ed abitata, e quella internazionale e avveniristica di Calatrava o di Chipperfield: la città storica defluisce lentamente verso quella avveniristica fino ad arrivare al porto e quella internazionale risale dal porto, con la risacca marina, portando i nuovi bene dei mercati globali e mediatici alla città abitata. Così come il vecchio mondo si collegava al nuovo tramite il mare, oggi dal mare globale si risale il fiume trasformato da collegamenti mediati e globalizzati verso la medesima città. Ma a Valencia si è fatto anche qualcosa di diverso ed in più, si risale per il fiume verde, vivo, pieno di una fauna tutta umana: le persone.
Valencia è tanto ricca di tradizioni etno-culturali e religiose, quanto laica e spregiudicata nella modernità; per la città storica/abitata e per quella avveniristica/internazionale, l’orizzonte resta il solito: il futuro, simbolicamente rappresentato dalla foce del fiume – trasformata in città delle scienze e delle arti – e dal porto marittimo – trasformato dall’America’s cup e dal circuito mondiale di Formula 1. L’approdo e la partenza in questa città si compenetrano, così come storia ed avvenire si soffermano in un presente vissuto, locale e globale, comunque non idealizzato, e concretizzto. Qui a Valencia, globale e locale cercano un equilibrio nient’affatto illusorio anche se i mammuth di Calatrava o le sporgenti ed aggettanti terrazze di David Chipperfield, al porto dell’American’s cup, sembrano strizzare un po’ troppo compiaciuti l’occhio ad un international life stile ipertecnologico e modaiolo (sotto le terrazze di Chipperfield e suadentemente sdraiati – e non seduti – su enormi puff minimal chic si sentono risuonare solo note da buddabar).
L’uno e l’altro intervento – la città tematica ed il porto international stile – che oggi sembrano all’avanguardia sono forse votati, fra dieci o venti o al massimo trent’anni, ad essere archeologia del presente? Le monumentali creature di Calatrava fra qualche anno non diventeranno forse dei mammuth tecnologici ritrovati nella foce di un fiume che non c’è più? Ed il porto mediatico, costruito per Alinghi e per farvi sfrecciare le avveniristiche macchine di Formula 1, non risuonerà di assordanti silenzi siderali se le telecamere della globalizzazione non tornano regolarmente a puntarvi i loro riflettori?
Questo è sicuramente il pericolo di Valencia – perché nessuno oggi resiste ai media o alla loro assenza – ma sembra essere anche un rischio calcolato: l’eventuale fallimento di uno di questi due interventi non troverà una città sbilanciata; il baricentro è saldo nell’entroterra, nel cuore della Città storica/abitata di Valencia. Si può vivere anche senza Calatrava e senza un porto mediatico; entrambi gli interventi si riducono in fondo ad essere due enormi parchi del divertimento tematici.
Ebbene, quando una Città nel suo insieme vive su delle solide fondamenta, tutto questo non si traduce in fattore di destabilizzazione, ma di stimolo, di simbolo, di identità per i suoi cittadini-abitanti. L’operazione messa in atto da Valencia è solo in parte vanitas, dall’altra è cultura e intraprendenza con la consapevolezza che la Città oggi già vive bene.
Da una parte il recupero del letto del fiume Turia è stata la vittoria del cittadino-abitante di Valencia, dall’altra la Città delle Scienze e delle Arti ed il porto dell’American’s cup e della Formula 1 sono l’occasione vinta dal cittadino-consumatore glo-cal, turista-consumatore, architetto-consumatore, moderno giapponese (qualsiasi cittadino occidentale, oggi, è pronto a scattare quantità sconsiderate di foto digitali o di filmare centinaia di minuti scaricabili su blog ed in You Tube…). Da una parte abbiamo la capacità di una municipalità spagnola di “fare” urbanistica – basta addentrarsi per la città storica, per il quartiere universitario, per il quartiere direzionale etc. – dove il cittadino-abitante ha vinto la sfida di una politica che è impegnata a progettare il bene comune, dall’altra abbiamo l’esaltazione tecnicista e modaiola di interpretare l’essere di una città nel mondo come cittadini-consumatori… Contraddizioni del medesimo cittadino – ora abitante, ora consumatore – e della solita città?
Resta l’inopinabile fatto che oggi a Valencia non è come essere dieci anni fa a Bilbao; Valencia è riuscita a mediare – nelle pur evidenti contraddizioni che mai del tutto si possono assorbire o neutralizzare – fra due anime e fra due visioni della città contemporanea ed occidentale: quella appunto del cittadino-abitante (sempre in cerca di spazi di relazione, di socializzazione) e quella per il cittadino-consumatore (sempre in cerca di bisogni e di soddisfazioni). Tant’è che per comprendere le contraddizioni non assorbite basta spostarsi verso la periferia di Valencia dove i numerosi centri commerciali sono nuove cattedrali del consumismo laicista in cui ogni appartenenza religiosa, etnica, culturale etc. si appiattisce, e dove le parrocchie vere, quelle ancora presenti e radicate nella cattolicissima Spagna, risultano letteralmente assorbite dai palazzi pluripiano e incapaci – urbanisticamente e simbolicamente – di gareggiare con edifici ed insegne pubblicitarie sempre più sfavillanti ed aggressivi commercialmente.
Dunque, Valencia ampia e vasta si è o non si è lasciata vincere dalla globalizzazione? A parer mio no, non si è lasciata vincere, ma certamente non per questo è Utopia; ha solo trovato, se così si può affermare, un equilibrio seppur labile come tutti gli equilibri moderni, perché dinamici e mai statici. Essa tenta di assorbire nella tradizione che non ha abbandonato – assolutamente presenti in città sono le produzioni agro-silvo-pastorali e la commercializzazione dei prodotti ittici pescati nel frontistante mediterraneo, le feste religiose etc. – i portati della globalizzazione ed in parte, questi restano ai suoi margini, simbolicamente alla foce del vecchio fiume e nel porto trasformato dai media. Può essere sufficiente per il futuro di una città di 800.000 abitanti?
Se da una parte a Valencia abbiamo le attrattive per chi non è più cittadino-abitante, ma cittadino-consumatore / turista-consumatore, dall’altra permane l’opera profonda di una città che non ha perso il legame con l’entroterra e con il mare, con le tradizioni, con la storia, con la religione, con il mondo del lavoro; anzi è da questa parte che è iniziato il cammino difficile e doloroso della rigenerazione. Oggi il centro storico è vivibile, forse uno dei centri storici più vivibili che abbiamo in Europa. Non è un caso che, girando per la città, si abbia l’impressione di incontrare persone felici, abitanti fieri di vivere a Valencia. In fin dei conti nessun valenciano mi è sembrato troppo compiaciuto della Città delle Scienze e delle Arti, o del porto dell’American’s cup; agli spettacolari e scenografici interventi messi in atto preferisce il rinnovo urbano stando attento alla qualità e al costo della vita. La città di Valencia non ha abdicato alla responsabilità di darsi un futuro e di perseguirlo nell’insieme del suo territorio urbano. Certo, le periferie più estreme restano le più degradate (scambiatori di calore appesi a finestre e a balconi sono la norma, così come le foreste di antenne sopra gli edifici), ma anche lì gli spazi di relazione per anziani e bambini non mancano ed un parco, un giardino, una panchina ed una parrocchia sono sempre presenti.
La Città delle Scienze e delle Arti, così come il porto dell’Amercica’s cup, sono sicuramente un costoso intervento da mantenere, ma marginali. E’ nell’entroterra, nel cuore della città storica che si incontrano i fermenti che hanno dato origine a queste operazioni finanziarie e culturali. Calatrava è nato, ha studiato ed ha frequentato l’Università di Valencia; qui risiede in un bellissimo terratetto proprio dietro la Cattedrale dedicata alla Beata Vergine Maria.
Tirando la somma, di fronte a queste operazioni messe in atto dalla municipalità valenciana, non si ha un risultato la cui somma è negativa o pari a zero; qui non si sono costruite delle cattedrali nel deserto, anche se Dubai – stando sotto queste architetture di Calatrava o sulla pista di Formula 1 – non è lontana. Siamo ancora nel cuore della vecchia Europa cristiana e della cattolicissima Spagna, seppur sempre più laicista, secolarizzata e globalizzata, ed il fuoriscala non sono città costruite nell’arco di pochi anni in pieno deserto senza tradizioni, senza storia, senza un legame.

mercoledì 30 aprile 2008

Ho trovato un'ara con l'iscrizione: al Dio ignoto.

Dagli Atti degli Apostoli:
At 17, 15-22-18,1

In quel tempo, quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto.
Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: «Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto.
Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dá a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra.
Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: "Poiché di lui stirpe noi siamo".
Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana.
Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».
Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un'altra volta». Così Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionìgi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.
Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto.

domenica 27 aprile 2008

Pronti sempre a dare ragione di un mistero insondabile che è in noi...

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo:1 Pt 3, 15-18

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
E' meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male.
Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito.

Dietrich Bonhoeffer
DBW 6,69-70

"Chi guarda Gesù Cristo vede in effetti contemporaneamente Dio e il mondo, d'ora in poi non può più vedere Dio senza il mondo né il mondo senza Dio. Ecce homo - Guardate che uomo! In lui è avvenuta la riconciliazione del mondo con Dio. Non attraverso la disgregazione, ma attraverso la riconciliazione si viene a capo del mondo. Non ideali, programmi, non la coscienza, il dovere, la responsabilità, la virtù, bensì soltanto l'amore perfetto di Dio riesce ad affrontare la realtà e a venirne a capo. Ancora una volta non è un'idea generica dell'amore, ma l'amore di Dio realmente vissuto in Gesù Cristo a riportare tale vittoria. Tale amore di Dio per il mondo non abbandona la realtà per ritirarsi in anime nobili lontane dal mondo, ma sperimenta e soffre la realtà del mondo nel mondo più duro. il mondo infuria contro il corpo di Gesù Cristo. Ma il martirizzato perdona al mondo il suo peccato. Così avviene la riconciliazione. Ecce homo. Con capovolgimento incomprensibile di ogni modo giusto e pio di pensare Dio si dichiara colpevole nei confronti del mondo e cancella così la colpa del mondo; Dio stesso intraprende il cammino umiliante della riconciliazione e assolve così il mondo; egli vuole essere colpevole della nostra cola, prende su di sé il castigo e la sofferenza che la colpa ci ha attirato addosso. Dio risponde dell'empietà, l'amore dell'odio, il santo del peccatore. Ora non esiste più alcuna empietà, alcun odio, alcun peccato che Dio non abbia preso su di sé, sofferto ed espiato. Ora non esiste più alcuna realtà, alcun mondo che non sia riconciliato e in pace con Dio. Questo Dio ha fatto nel suo diletto figlio Gesù Cristo. Ecce homo - guardate il Dio che si è fatto uomo, il mistero insondabile dell'amore di Dio per il mondo. Dio ama l'uomo. Dio ama il mondo. Non un uomo ideale ma l'uomo così com'è, non un mondo ideale, ma il mondo reale".

tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

venerdì 25 aprile 2008

L’assoluta inconsistenza dei cristiani o l'inutile individualismo dei cattolici moderni

Analizzare i difetti dei propri fratelli è difficile e doloroso, soprattutto quando si rischia di cadere in un giudizio moralistico o in un esercizio di falsa ed ipocrita modestia.
Ciononostante, non serve esimersi da un’operazione dolorosa – rettamente intesa – se si intraprende un cammino per stabilire un giusto ordine delle relazioni ed una efficace fraternità.

C’è lo smembramento della Comunità ed i resti sono gloriosi cristiani carichi di inestimabili ricchezze etico-morali. Ma con questo, quanti individui, oggi, sono splendidi frammenti che laicamente brillano nello sfavillio del mondo?

E’ questo il carisma dei cristiani: aver tradotto la persona in laico splendore individuale?
Certo, in questo mio dire, c’è del paradossale, un gusto per l’iperbole e l’estremizzazione, necessarie sempre e solamente per una migliore comprensione del reale. Ecco dove sta il giudizio, nel comprendere, non nel condannare.

E’ come essersi ritirati a vita privata, seppure attivi pubblicamente (operosi nella carità, nei campi del sociale e del politico) ognuno lo è individualmente e a suo insindacabile modo. Le relazioni non costituiscono più la fraternità e così la Chiesa – il mistero inaudito del Cristo per l’umanità – non è più Luce delle Genti. E’ divenuta semplice opzione per ciascun battezzato (sic.).
Abbiamo perso il senso inestricabile della Comunità: una caratteristica tutta cristiana; basta rileggersi gli Atti degli Apostoli, un po’ di storia della Chiesa, qualche vita di santi ed in ultimo ripartire meditando profondamente la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II, ma soprattutto tornare a vivere coi fratelli e con le proprie sorelle in Cristo (in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni, nei movimenti, nelle comunità, ovunque due o tre si riuniscano desiderosi di incontrarsi nel bel nome del Risorto).

Oggi, i cristiani sono “cattolicissimi” individui, al massimo impegnati in modo sublime dentro il mondo; ovunque, dentro e fuori delle città, qui od altrove, dove le povertà gridano giustizia, dove l’uomo invoca amore. Quindi, i cristiani, sono certamente ancora meravigliosi cercatori di giustizia, ma lo Spirito che li ha costituiti Chiesa, dove è? E la loro ricerca della Verità dove si è fermata?

In Spirito e Verità, abbiamo lasciato dietro le nostre spalle – allontanandolo troppo da noi stessi – un dogma, una verità di fede, un mistero escatologico: Noi siamo Chiesa. L’obbligarsi in Spirito ed in Verità alla fraternità, il cercare il proprio personalismo nel costituirsi Comunità nel mistero e nel progetto di essere Chiesa, non è opzionale per un cristiano, è piuttosto ciò che lo fa essere; è la sua essenza. L’essenza di un cristiano è Dio e Dio Padre si è rivelato in Cristo e Cristo è la sua Chiesa, Egli è il capo di un Corpo costruito dalla presenza inesauribile dello suo Spirito in mezzo al mondo.
Essere persona, per un cristiano, è essere Chiesa, è portare in sé questo mistero glorioso, manifestare al mondo il volto di Cristo che è la sua Chiesa. Essere persona, per un cristiano, è una cosa grande, un dono enorme. Ci fa ricordare cosa significhi il timore di Dio, non la paura, ma l’umiltà che riconosce il Primo Amore.
Ecco perché, nonostante i nostri grandi ruoli pubblici e le nostre incontestabili grandezze etico-morali individuali, colà dove si costituiscono, siamo comunque diventati “inconsistenti” ed “inutili”. Certo, non tutti i cristiani sono belli, ma pure i più belli, oggi, in questa sorta di cristiana modernità restano inconsistenti ed inutili: cattolicissimi individui. In pratica, o molto semplicemente, ci siamo dispersi nei recinti delle appartenenze individuali – ed al massimo “politiche” –, ci siamo costretti a difendere le nostre libertà e così facendo abbiamo smarrito il Cristo, che invece immaginavamo di seguire, ma molto di più, abbiamo smarrito il senso profondo di una vocazione universale che ci era data in sorte: chiamati, prima di tutto, ad essere Chiesa in, con ed attraverso di Lui, il Cristo, per essere poi il sale della terra, l’annunciatori della bella e buona notizia per tutta l’umanità, quella di ogni tempo.

Ma Cristo continua incessantemente il suo canto di lode sulla Croce salvandoci ancora, da quel mondo che ci vuole privi di appartenenza, di legami spirituali. Riscoprire di essere cristiani, allora, significa ristabilire un giusto ordine nella fraternità, un primato della relazione, una efficace fraternità; ristabilire, cioè, una significativa libertà non più per essere liberi di o liberi da, ma per essere liberi per accogliere la buona e bella notizia ed essere suoi umilissimi servitori: un bellissimo mistero escatologico riversato nelle nostre esistenze dal dono della Fede. Dio Padre in Cristo ci ha chiamati a partecipare al suo mistero infinito d’amore. Beh, è qualcosa di dirompente se ci pensiamo bene. Fa nascere quel timore puro ed innocente che è l’amore della creatura nei confronti del suo Creatore…

Aver rotto, allentato, i legami fraterni della comunità, essere esplosi per disperdersi come frammenti di luce nel mondo, può aver significato l’inconsistenza e l’inutilità dell’essere cristiani? Perché è esattamente questo che la moderna cristianità occidentale si sta riducendo ad essere. Se il sale perderà il suo sapore chi potrà mai renderglielo se come tralci non restiamo attaccati alla vite? Cristo e la Chiesa sono un mistero unico. Cristo e la sua Chiesa sono il solo progetto che si dipana dentro al cuore di ogni cristiano, pena la morte spirituale, l’inconsistenza e l’inutilità. Dove le ragioni della nostra testimonianza, infatti? In Cristo, con Lui ed attraverso di Lui, cioè nella sua Chiesa, con questo popolo Santo, attraverso il mistero della sua Comunione, del Padre con il Figlio e del Figlio con il Padre e noi, come figli nel Figlio, con il Padre grazie allo Spirito donato-amore.

Contro le idee massimaliste del mondo abbiamo ora creato una nuova eresia diventando libertari e libertini. I cristiani, oggi, si ritrovano (?) su infinite posizioni opposte – basti guardare alla politica – e diverse, elevando il diritto ad avere un’opinione e ad essere diversi come valori assoluti di riferimento, nuovi dogmi in cui credere: un battesimo scristianizzante, un intimismo religioso e individualista. Niente di più anticristiano la modernità fino ad oggi aveva prodotto (?). L’individuo è tornato ad essere idolo di se stesso, anche fra i tanti bellissimi e buonissimi cristiani. La persona è nuovamente scomparsa, dopo che era nata grazie al cristianesimo.
Eppure, il cristiano dovrebbe ricordare sempre che il battesimo lo ha reso libero, certamente, e diverso dal pagano, sicuramente, ma nella fraternità che è il cuore della relazione che lega gli uomini e le donne rinnovati dalla grazia dello Spirito, dono del Padre scaturita dal Cuore stesso del Cristo crocifisso.

Gesù chiamò a sé quelli che volle, ma li costituì per rimanere intorno a sé, perché annunciassero a tutte le genti la bella e buona notizia, perché curassero e guarissero il mondo dalle sue malattie (cfr. Mc 2,11-15), non perché fossero liberi. Infatti, questa libertà del Cristo è una libertà per, non una libertà di o una libertà da. Egli ci ha costituito Chiesa perché imparassimo cosa è la vera relazionalità, quella profonda che fa vivere l’unica, vera fraternità: la Comunione che nasce dal Padre e dal Figlio e che – nella grazia dello Spirito – è stata comunicata a tutta l’umanità, anzi a tutto il creato che geme e soffre fino a quando non giungerà la pienezza della vita nuova già sbocciata con la resurrezione del Cristo.
I cristiani, allora, sono fratelli in quanto cercano costantemente, alacremente, indissolubilmente i fondamenti della loro comunione in Cristo, ovvero nella sua Chiesa, per testimoniarla al Mondo, per gridare l’annuncio salvifico dalla seduzione della solitudine e del solipsismo, dell’accidia, del vuoto cosmico, delle passioni dirompenti ma mai liberanti…

Non si ha conversione se il cuore non si muove tutto interiormente come dicono i profeti. Non si è cristiani in virtù di un avvenimento storico avvenuto un tempo – il battesimo – se non avviene un costante riconoscimento della fraternità e della comunione in Spirito ed in Verità. I mistici ci insegnano a lasciarsi pervadere dallo Spirito che ci è stato donato e mai tolto, perché lo Spirito si radichi in noi: l’uomo – già salvato dal Cristo – ha, al cospetto di Dio, di fronte a sé tutto una vita per convertirsi in pienezza. L’amore del Padre è veramente grande. Il mistero di Cristo è grande, il mistero della Chiesa e dei suoi Sacramenti è grande, non è riducibile a novella o a religione civile, a semplice mito, archetipo antropologico, religiosità naturale.
Quale autentica vocazione potrà mai sussistere senza la cura di quella Voce profonda che solo lo Spirito dona all’uomo, che opera sapientemente in noi per la Grazia del battesimo, che ci costituisce fratelli in Cristo come Popolo Santo?
Invano faticano i costruttori – ci ricorda il salmista – se Dio non abita la sua casa. Troppo, troppo ci siamo attardati a faticare, estromettendo così Dio dalla nostra anima. Molto, molto di più vale il Silenzio – icona del deserto e del monte, luoghi per eccellenza del ritirarsi di Cristo e dei suoi discepoli – dove Dio Padre, per mezzo del Figlio e nella grazia dello Spirito concessa al mondo, opera misticamente in noi, in solitudine, abbracciando ogni uomo, ogni donna che gli si dona dal cuore della propria ragione.
Dobbiamo tornare ad essere contemplativi nell’azione, ad agire contemplando. Il cristiano ha sempre il Cristo di fronte a sé, proprio come Gesù – aveva di fronte a sé – il Padre - radicato nel proprio Cuore - dirigendosi decisamente verso Gerusalemme. La sua Chiesa è anche la Sua sposa e per noi è la Madre.

Ecco il frutto di un eccessivo essersi rinchiusi in sé disperdendosi nel sociale come cattolici: aver accettato una laicità priva di vita spirituale, non essersi mai ritirati lungamente in preghiera la mattina prima dell’alba, o nel deserto o sul monte col Cristo che chiama e conduce. Da una parte la frantumazione e la dispersione, da un’altra l’inconsistenza e l’inutilità di chiamarsi cristiani, da un’altra ancora la crisi della fede e le stanchezze morali, da un’altra ancora l’incapacità di mantenere gli impegni se non in forza delle emozioni e dei sentimenti. Insomma, tante responsabilità sempre fragili ed edonistiche. Laicisti, più che cristiani: vita dei sacramenti abbandonata ai sentimenti, vita ecclesiale lasciata ad alcune sporadiche partecipazioni liturgiche. Fede e Ragione senza un maturità umana e spirituale cosa sono? E le guide spirituali – preziosissime – dove sono? Non è, forse, vero che ciascuno di noi è oramai diventato maestro e guida a se stesso? Dove, infine, è in tutta questa moderna cristianità la vita dello Spirito?

Ecco perché siamo cristiani, cattolici, inconsistenti ed inutili, appunto, innocui in un mondo che chiede una Via di Speranza, di Verità, di Vita. Smarrita la Via, su quale viottolo cammina l’innocente cristiano disperso senza più essere Chiesa? E come può essere fedele, appunto cristiano?

Aver lasciato sola la libertà, aver spogliato la persona ed averla fatta regredire ad individuo, è averla ridotta alla solitudine di fronte al vuoto e al buio del proprio cuore.
Paradossalmente il cristiano ha una doppia anima: libero, sì, ma libero con e libero per. Il cristiano non vive per un sogno, non per un mito, non si identifica con personaggi storici, neppure con il Cristo, non è alla ricerca di un mondo inesistente, ma decostruito se stesso si pone alla costante sequela e ricerca di Gesù, il Cristo, cioè la Via, la Verità e la Vita, ed impara da Lui come vivere la propria libertà in quell’Amore che è speso costantemente da Gesù per riunirci tutti assieme intorno all’unico Padre nel dono inesauribile di sé la mondo per mezzo della Chiesa.
Solo alla sua scuola impariamo una libertà che si fa ricerca delle verità nella Verità, dell’etica della cura e della giustizia; questo è un segno forte per il nostro impegno, ma esso nasce solo dal Cuore del Cristo. Ecco, allora, l’autentica ed unica libertà di essere se stessi: porsi Cristo di fronte, porsi inchiodati alla sua Croce di salvezza, amare la sua Chiesa, suo mistico e peregrinante Corpo su questa terra, mai idealizzata e dunque fallace.

La voce profetica dello Spirito – che soffia dove Egli vuole – suscita ancora, nel piccolo volgo animato dal Cristo, la volontà di essere Chiesa in pienezza. Lo Spirito è l’acqua ed il sangue che sgorga inesauribile dal Cuore trafitto del Cristo segno d’amore eterno di Dio per la Chiesa, per coloro che Lui volle riuniti intorno a sé per portarLo all’umanità intera fino agli estremi confini del mondo (finale del Vangelo secondo Matteo).

Nella liturgia troviamo la fonte ed il culmine di ogni nostro sforzo e di ogni nostro riposo: nell’ascolto fraterno della Parola e nello spezzare assieme il Pane ci immergiamo realmente nel Cuore di Cristo ed impariamo ad essere veri ed autentici fratelli. E’ nella vita di comunità che nasce l’uomo rinnovato dall’acqua e dallo Spirito, che veniamo costituiti corpo di Cristo, popolo santo. Non dobbiamo mai scordarci che catechesi, liturgia e carità sono il volto intero di Cristo: annunciare il Vangelo, celebrare Cristo e testimoniare la carità sono l’unico volto intero di una Chiesa sposa di Cristo e madre dell’umanità in costante ricerca della Verità nelle verità di questo mondo.

Ogni cristiano è chiamato a costituirsi nella Verità dello Spirito e nella libertà responsabile per essere il volto della Chiesa, testimone di questa comunione, di questa fraternità nel mondo che ama il mondo pur non appartenendogli. Ogni cristiano, solo così, può mantenersi fedele alla triplice vocazione di annunciare il Vangelo a tutti ed in ogni tempo, celebrare il Cristo nella comunità riunita intorno al suo Corpo eucaristico, testimoniare la Carità verso tutti nell’impegno nel mondo per il bene comune.

Il cristiano non testimonia solamente il proprio amore per Cristo, ma porta l’amore della Chiesa, sposa mistica del Cristo, al mondo. Siamo veri testimoni di Cristo se ci immergiamo in Lui per far vivere il mistero della Chiesa su questa terra immagine imperfetta della Comunione di tutti i santi e della gloriosa Gerusalemme celeste che Cristo consegnerà al Padre nell’Eternità della Salvezza dono gratuito.

venerdì 21 marzo 2008

domenica 17 febbraio 2008

Un testo di meditazione

Ho sete di te. Ecco sto alla tua porta e busso. E' vero. Sto alla porta del tuo cuore giorno e notte. Anche quando tu non stai ascoltando, anche quando tu dubiti che possa essere Io, Io sono lì. Aspetto anche il più piccolo segno di una tua risposta, anche l'invito sussurrato nel modo più lieve che mi permetta di entrare. E voglio che tu sappia che-ogni volta che Mi inviti, Io vengo-sempre, non c'è dubbio. Vengo in silenzio e senza essere visto ma con potere ed amore infinito e portando i frutti abbondanti del Mio Spirito.Vengo con la Mia Misericordia,con il mio desiderio di perdonarti e guarirti, e con un amore per te ben oltre quello che puoi comprendere-un amore grande come quello che ho ricevuto dal Padre("Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi" Gv 15,9).

Io vengo-con il desiderio ardente di consolarti e darti forza, di risollevarti e fasciare tutte le tue ferite. Ti porto la Mia Luce per dissolvere le tue tenebre e i tuoi dubbi.

Vengo con il Mio potere, così che Io possa portare te ed ogni tuo fardello;con la Mia grazia, per toccare il tuo cuore e trasformare la tua vita;ed offro la Mia pace per placare la tua anima.

Io ti conosco in pienezza-conosco tutto ciò che ti riguarda.Tutti i capelli del tuo capo ho contato. Niente della tua vita è privo di importanza ai Miei occhi, Io ti ho seguito attraverso gli anni, e ti ho sempre amato-anche nei tuoi smarrimenti. Conosco ogni tuo problema. Conosco tutte le tue necessità e le tue preoccupazioni. E certo, conosco tutti i tuoi peccati. Ma ti dico ancora che Io ti Amo-non per ciò che hai fatto o non hai fatto-Ti amo per te stesso, per la tua bellezza e la dignità che il Padre Mio ti ha donato creandoti a sua immagine. E' una dignità che hai spesso dimenticato,una bellezza che hai offuscato con il peccato. Ma Io ti amo così come sei,ed ho versato il Mio Sangue per riconquistarti.Se soltanto Me lo chiederai con fede, la Mia grazia raggiungerà tutto ciò che nella tua vita ha bisogno di cambiare; ed Io ti darò la forza di liberarti dal peccato e dal suo
potere distruttivo. Io so cosa c'è nel tuo cuore - conosco la solitudine e tutte le tue ferite - il rifiuto, i giudizi, le umiliazioni .Ho portato su di Me tutto questo prima di te. Ho portato su di Me tutto questo per te;così che tu potessi condividere la mia
forza e la mia vittoria. Conosco soprattutto il tuo bisogno d'amore - conosco quanta sete tu abbia di essere amato e di essere amato con tenerezza. Ma quante volte hai avuto sete invano, cercando egoisticamente quell'amore, sforzandoti di riempire quel vuoto che avevi dentro con piaceri effimeri - con il vuoto ancor più grande del peccato..Hai sete d'amore?"Chi ha sete
venga a Me e beva" (Gv 7,37).

Ti darò da bere fino a sazietà. Hai sete di essere amato con tenerezza?Io ti amo teneramente più di quanto tu possa immaginare-fino al punto di morire per te su una croce.

Ho sete di te.SI',è questo l'unico modo di cominciare a mostrarti il Mio amore per te: HO SETE DI TE. Ho sete di amarti e di essere amato da te-questo dice quanto sei prezioso per me. HO SETE DI TE. Vieni a Me ed Io riempirò il tuo cuore e guarirò le tue ferite. Farò di te una nuova creatura e ti darò la pace, pure in mezzo a tutte le tue prove. HO SETE DI TE.Non devi mai dubitare della Mia Misericordia,mai dubitare che Io ti accetti, che Io desideri perdonarti, benedirti e vivere in te la mia vita. HO SETE DI TE. Se ti senti senza importanza agli occhi del mondo, non importa affatto. Per me non c'è nessun altro in tutto il mondo più importante di te. HO SETE DI TE.

ApriMi, vieni a Me,voglio che tu abbia sete di Me,donami la tua vita-ed Io ti mostrerò quanto sei importante per il Mio Cuore

Non ti accorgi che il Padre Mio ha già un perfetto disegno per trasformare la tua vita, proprio da questo momento?

Abbi fiducia in Me. Chiedimi ogni giorno di entrare nella tua vita e di prendermene cura-ed Io lo farò Ti prometto di fronte al Padre Mio nel cielo che opererò miracoli nella tua vita. Perchè dovrei farlo? Perchè HO SETE DI TE. Tutto ciò che ti chiedo è che tu ti affidi completamente. Tutto ciò che ti chiedo è che tu ti affidi completamente a me-Io farò il resto.

Anche adesso custodisco il posto che il Padre Mio ha preparato per te nel Mio Regno. Ricordati che sei un pellegrino in questa vita, in viaggio verso casa. Il peccato non potrà mai soddisfarti nè portarti la pace che cerchi. Tutto ciò che hai cercato fuori di Me, ti ha soltanto lasciato ancor più vuoto, per questo non attaccarti alle cose di questa vita. Soprattutto non andartene via da Me quando cadi. Vieni a me senza indugio. Quando Mi offri i tuoi peccati, Mi dai la gioia di essere il Tuo Salvatore. Non c'è nulla che Io non possa perdonare e guarire;così vieni ora e deponi il peso che è nella tua anima.

Non importa quanto lontano tu sia andato vagando, non importa quante volte ti dimentichi di Me, non importa quante croci potrai portare in questa vita;c'è una cosa che voglio che tu ricordi sempre,una cosa che non cambierà mai : HO SETE DI TE-così come tu sei... Non c'è bisogno che tu cambi per credere nel Mio amore, perché sarà la fiducia nel Mio amore che cambierà te .Tu ti dimentichi di Me, eppure Io ti cerco ogni momento-sto alla porta del tuo cuore e busso. Lo trovi difficile da credere?Allora guarda alla croce, guarda al Mio Cuore che è stato trafitto per te. Non hai capito la Mia Croce?Allora ascolta di nuovo le parole che ho detto da lì-ti dicono chiaramente perchè ho sofferto tutto questo per te:"HO SETE"(Gv 19,28). Sì ho sete di te-come dice di Me il resto del Salmo che stavo pregando:"Ho atteso compassione, ma invano,consolatori, ma non ne ho trovati" (Sal 69,21).Per tutta la tua vita ho cercato il tuo amore-non ho mai smesso di cercare di amarti e di essere amato da te. Hai provato tante altre cose alla ricerca della felicità; perchè non cerchi di aprirmi il tuo cuore, proprio adesso,più di quanto tu abbia mai fatto prima d'ora? Ogni volta che Mi aprirai la porta del tuo cuore,ogni volta che sarai abbastanza vicino, Mi sentirai ripeterti senza posa, non in parole puramente umane, ma in spirito: "Non importa quello che hai fatto, Io ti amo per te stesso. Vieni a Me con la tua miseria ed i tuoi peccati,con le tue preoccupazioni e le tue necessità, e con tutto il tuo ardente desiderio di essere amato..Sto alla porta del tuo cuore e busso..

ApriMi, perchè HO SETE DI TE...

(The Religious Community of Priests founded by Mother Teresa of Calcutta)

domenica 27 gennaio 2008

Giorno della Memoria

C’è stato un periodo in cui / la mia persona
Ha odiato apertamente un altro uomo_

C’è stato un periodo
in cui / apertamente / non c’è stata vergogna_

Questa memoria
ricorda che non sono migliore / senza il ricordo
e l’accusa di ciò che è rimasto / seppure è nel passato_

Non c’è distinzione / fra quest’uomo
e quell’uomo che ha ucciso_

Sepolto nella storia / va ritrovato
L’uomo sepolto non mi fa migliore_

Risorto il cadavere / potrò essere vivo
e riconoscermi migliore_

Chi ha incontrato un salvato
ha incontrato un risorto / l’uomo che perdona chi lo ha ucciso_

Ciò che non viene assunto / non viene neanche salvato

lunedì 21 gennaio 2008

In margine al relativismo - nota sulla laicità

Attaccare chi ha convinzioni, opinioni e credenze diverse dalle nostre è una contraddizione per chi si professa scevro da dogmatismi e si dichiara tollerante dentro e fuori ogni gruppo sociale di appartenenza, religioso o laico che sia: sottolinea la sostanziale differenza fra una persona non liberale – non tollerante – che ha reso il relativismo un dogmatismo e una persona autenticamente liberale – ovvero tollerante – che attraverso un corretto relativismo si difende dal dogmatismo della supponenza, dell’indifferenza o del potere.
Per i sedicenti relativisti, ormai presenti dentro e fuori ogni gruppo sociale di riferimento, che si presentano assertori delle libertà e della tolleranza, infatti non solo tutte le convinzioni, le opinioni e le credenze “godono lo stesso status alla luce della ragione come una luce verde a credere ciò che aggrada con la convinzione e la forza che aggrada” (cfr. “Gli equivoci del relativismo” articolo apparso su Il Sole-24 ore del 26 agosto 2005), ma queste hanno una gradazione etica diversa a seconda della propria interpretazione, della propria intelligenza e della propria cultura; dunque, della propria educazione, ovvero della capacità di controllare la propria od altrui opinione.
Oggigiorno il professarsi relativista ~ un tempo il relativismo esprimeva autentiche posizioni etiche ~ si riduce “alla goffa conclusione che ogni sistema di convinzioni, opinioni e credenze sia giustificato o giustificabile e, dunque, che nessuno possa giudicare le convinzioni degli altri e, tanto meno, affermare la validità delle proprie” (ibidem) … a meno che non si arrivi ad attaccare, misconoscere o sconfessare le persone o le istituzioni rispetto alla loro confessione di fede, al loro credo, ai loro valori, alla loro cultura ed etica di riferimento (il Dalai Lama oggi è considerato un'autorità morale universale, il Papa non più; come mai?).
Non potendo più criticare le convinzioni, le opinioni e le credenze altrui, in quanto oramai tutte equivalenti, al sedicente relativista non è rimasto altro che criticare i comportamenti teorizzando però un’etica formale del “rispetto del pluralismo”, una “prassi dell’indifferenza”, un “razionalismo scettico ed individualistico”. Insomma, la negazione del vivere in società, la contraddizione di ogni sorta di relazione profonda, l’abbandono di una dialettica conciliante, la rinuncia alla convivenza, una pura battaglia per la sopravvivenza delle idee e degli stili di vita, una trincea della vita privata (La cultura che ha una storia che valore ha?).
Dietro al sedicente relativista, allora, sempre più appare un qualunquista, non una persona debole, priva di intelletto, con un grado di educazione basso. Un manipolatore, più che un manipolato.
D’altra parte il Relativismo ~ quello autentico con la R maiuscola ~ non è stato altro che l’antidoto all’arroganza dogmatica e all’intolleranza: il vero Relativista non attaccherebbe mai la persona o l’istituzione che rappresenta una nazione, quanto una comunità, o non userebbe mai un formalistico rispetto o l’indifferenza o uno scettico individualismo per difendere o proporre i propri valori, ma tenderebbe a sposare dibattiti, incontri, luoghi in cui tentare di conciliare le diversità per il raggiungimento di un sempre maggior bene comune a vantaggio di tutta la società. Il Relativista neppure potrebbe accettare ~ in maniera qualunquistica ~ per sé o per gli altri ogni stile di vita, perché la sua esistenza si fonda su dei veri e ~ quindi ~ condivisibili valori, unico cemento per un’etica comune a vantaggio di tutti.
Infine, fuor di metafora, il rapporto tra i cosiddetti “laici” (gli atei?, i non credenti?, i credenti aconfessionali?) e le persone cosiddette “religiose” (i credenti confessionali?) resta comunque un problema irrisolto e pungente nella società liberale, occidentale e moderna: il laico, per lo più (anche se non sempre è così), sembra optare per un riconoscimento dell’esistente, del dato di fatto, dedicando poca attenzione alle questioni dei principi, al massimo promuovendo ~ nel campo dell’etica ~ battaglie libertarie e di tolleranza, e ~ in politica ~ affermando i diritti dei singoli ed il rispetto dell’ambiente, come nuove religioni sociali e civili; il religioso è consapevole di vivere in un mondo secolarizzato, ma è impegnato ad affermare il valore alto di una visione del mondo.
Per questo il Relativista che incarna valori forti ed esprime richiami a principi e a tradizioni familiari e sociali non corruttibili, appare oggi in minoranza, in via di estinzione e “reazionario” al mondo laico delle nuove religioni civili.

La politica stessa, divenuta nel frattempo teatro per l’audience, è divenuta visione civile di un nuovo culto religioso, luogo in cui si possono affermare, costruire, formare “nuovi valori” o valori di singoli o di singoli gruppi.
Non a caso il Relativista riesce meglio a confrontarsi con il mondo religioso – in genere quello cattolico – che esprime valori non in-fondati, piuttosto che con quello che afferma di tollerare ma non riesce più ad avere in sé e fuori di sé una scala di valori o di riferimenti assoluti. L’opinione della maggioranza o di un singolo individuo, di fatto, oggi può essere un nuovo valore e dunque ogni valore può costituirsi al di fuori di un contesto sociale, di un percorso storico, etico-culturale o religioso. Questo è un dramma, perché il "qui ed ora" è divenuto un valore assoluto ed il futuro la semplice proiezione di un eterno presente.
Che ci sia un punto di contatto fra abbandono dei falsi idoli e ricerca delle verità? Fra lotta per la libertà e lotta interiore che libera da ogni forma di idolatria e schiavitù in vista del bene comune? Che ci sia una speranza condivisibile, oltre al possibile ethos condiviso? La Ragione quale percorso deve intraprendere nel mondo contemporaneo?

In fondo, la tolleranza stessa, per essere tale, deve riconoscere il diverso da sé come ”non portatore di valori”, paradossalmente come colui che scalfendo i miei valori mette in pericolo la mia vita, il futuro dei miei figli. La tolleranza non è il semplice “vivi e lascia vivere”, un “basta che tu non impedisca le mie libertà”. La tolleranza è un impegno morale molto gravoso, serio, difficile che mette in crisi: nel momento che riconosco la tua differenza da me, mi impegno a non escluderti, a riconoscerti ed infine ad accettarti. Ti accetto nel tuo non portare valore – ovviamente, secondo la mia visione della vita – ma allo stesso tempo ti confermo nel consesso civile, perché infine questo imporrà l’accettazione dell’altro in vista di un sempre maggiore bene comune (mai scisso dal valore della pace e della giustizia sociale): ti tollero e cercherò con te soluzioni – che non ammettono qualunquismo ed indifferenza fra di noi – in vista del bene comune.

La tolleranza è certamente una lotta, seppur pacifica se vissuta dalla ragione nella giustizia sociale.

domenica 20 gennaio 2008

Per uno sviluppo della laicità nel dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale in vista del bene comune

Una “regola” non è una legge, ma costituisce una base per ogni relazione la cui discrezionalità è così limitata; soprattutto in un consesso civile, seppur idealmente considerato, come quello laico, ecumenico, interreligioso o interculturale di una comunità locale, quale quello di una Città.
In una “regola” (ancorché implicita) dovrebbe riflettersi il costume ~ l’ethos ~ profondo e stabile di ciascuna persona e della società; i loro valori durevoli, quelli cioè destinati ad accompagnare le trasformazioni e le crisi di una comunità: un gruppo di persone che si ritrovano nell’accoglienza delle diversità e che indirizza la propria riflessione e la propria azione in vista del bene comune.
E’, infatti, dal “più piccolo e ristretto gruppo sociale del mondo”, che coglie questa esigenza “normativa” (ancorché implicita della regola), che nasce una comunità, entro la quale sono possibili valori condivisi (ancorché violati e ristabiliti costantemente) nella permanenza di valori arbitrari (la possibile costruzione di valori operata da ciascuno?) o non riconosciuti dagli altri (?) o semplicemente diversi (?).
Affinché nasca una comunità, cioè, non è sufficiente riflettere nella società civile il proprio costume individuale, il proprio stile di vita, le proprie libertà; questo approccio, infatti, non sarebbe sufficiente per stabilire un “ethos profondo e stabile” condiviso e riconosciuto da tutti. Il “più piccolo e ristretto gruppo sociale del mondo” si costituisce come comunità in presenza di un tessuto di relazioni alimentato dall’omogeneità e quando questo tessuto la produce innescando un processo di coesione.
Per non fraintendere: una comunità non esiste se gli individui che la compongono permangono in un tessuto di relazioni eterogenee, ovvero lasciano alla spontaneità e alle pur indispensabili capacità personali il governo della complessità nel loro incontrarsi-scontrarsi, del loro differenziarsi, il governo delle loro libertà.
Quando una società civile si dota di una “regola” (ancorché implicita), la regola è la traduzione coerente in norme dei valori condivisi di riferimento; e l’adesione (ancorché implicita) alla regola stessa diviene un modo di rin-saldare la propria appartenenza alla comunità, mentre per l’individuo, l’obbedienza (ancorché implicita) alla regola, diviene adesione morale, costitutiva della sua stessa identità all’interno della comunità stessa, sinonimo di fedeltà e rispetto delle posizioni di ciascuno.
Seppur indispensabili e necessarie, ragione, coscienza ed etica individuale, di fatti non sono sufficienti per alimentare e produrre una società civile che comincia a trasformarsi in una comunità: dall’incontro-scontro prodotto dalla pluralità delle etiche dis-omogenee, tipica del mondo individualista di oggi, rischia solo di emergere o il più forte o un’etica come prodotto, indifferente alla persona, alle relazioni e al mondo.
Una comunità non può nascere da una mera selezione “darwiniana”, ma è frutto di una “regola”, ancorché implicita; mai è il risultato di una sommatoria. Essa è piuttosto il prodotto della ragione e della storia.
Di fronte alla frammentazione etica, quotidiana, del nostro mondo o alla mancanza di un ethos profondo, in quanto tutto oggi è rimandato alle scelte contingenti, il problema da sentire è come creare, ri-creare e mantenere l’omogeneità di cui è espressione principale la “regola” sottesa al convivere civile che struttura una comunità. Non si tratta di provare nostalgia per un presunto fondamento ideale/ideologico (familiare, religioso, sociale, politico etc.), piuttosto si deve avere la forza di ri-affermare costantemente la necessità di un fondamento etico della società per il bene comune, appunto, di ciascuno e di tutti in vista di uno sviluppo integrale dell’uomo e di tutti gli uomini all'interno del mondo.
Il ripiegamento nostalgico è un’operazione non solo contraria alle dinamiche umane ~ ordinate alla ragione ~ lacerate ed esplose all’interno di una globalizzazione delle relazioni e di una pluralità delle etiche individuali e sociali, ma anche sterile ed insufficiente.
¿Oggi, ci sono dei valori comuni perché vi sia un’etica di tutti, visto che nella laicità contemporanea non sembra più esserci spazio per un “ethos” precostituito (quale può essere quello, ad esempio, della cristianità) e che la creazione di un tessuto comune, coeso e necessariamente omogeneo, non è più un dato di partenza?
La creazione di un tessuto comune, coeso ed omogeneo è una “finalità” – non un dato di partenza – da perseguire imprescindibilmente ogni volta che la società va in crisi; ogni volta che un uomo viene al mondo.
Questo sottende il valore imprescindibile dell’educazione, non dell’auto-determinazione; dell’obbligo a educare da parte della società civile, non semplicemente di essere ciò che si è da parte dell’individuo; dell’obbligo a tramandare, a mantenere, a recuperare … a difendere la persona nel tessuto delle relazioni che hanno sempre un prima, un’ora ed un dopo responsabile dentro una storia sostenibile anche per le generazioni future, per il mondo
Cosa è, infatti, che tiene unito una comunità?
E' nel governare la complessità che sta l'arte dell’uomo; ovvero, nel riordinare se stessi e le proprie rel-azioni all'interno di un comunità non perdendo mai di mira il bene comune; che non è mai fine a se stesso, ma traguarda l'uomo nel suo mondo, nell'universo storico e fisico per proiettarlo, per tramandarlo.
Che cosa è che giova, dunque? Paradossalmente, all’interno di una comunità coesa, omogenea, ovvero regolamentata, anzi ben ordinata, un possibile disonesto è ininfluente; all'interno di una società civile eterogenea, de-regolamentata, anzi dis-ordinata, anche la persona più arguta, più intelligente, più creativa, più capace, più preparata, più acculturata, anzi più ... “eticamente virtuosa”, è ininfluente.
E’ dunque opinabile rimettere al centro della questione culturale il valore imprescindibile dell’essere comunità, paradossalmente contrapposto al valore irrinunciabile della libertà, quanto della laicità dell'individuo e della società?
Od è discutibile il valore all'educazione di essere liberi per il bene comune, contrapposto alla libertà di essere ciò che si vuole o alla libertà da qualsiasi realtà?

Ciò che giova è ciò che fa rimanere in relazione, in quella relazione profonda, stabile che matura a discapito di qualsiasi scelta individualistica e di qualsiasi crisi all’interno della società (di qualsiasi gruppo religioso, di qualsiasi laicità) facendo costantemente sussistere una comunità, mentre cresce il bene comune dentro questo nostro micro/macrocosmo che è il mondo.

Nel ben ordinare la propria vita, quanto una comunità, vige una triplice regola: quella di usare la Memoria (perché la superficie del quotidiano non è mai la storia intera), quella di usare l'Intelletto (per discernere, ovvero per valorizzare ciò che è buono e tralasciare il poco di buono della nostra storia) e quella di usare la Volontà (per muoversi nel modo indicato dalla ragione e dalla coscienza etica in vista del bene, anzi del bene comune, al fine di permettere alla storia di proseguire il suo corso). La coerenza rispetto alle proprie idee, quanto il rispetto relativo alle idee altrui, o la stessa libertà di e da, tanto declamati oggi da una certa cultura, non apportano mai valore aggiunto se non vengono costantemente ben ordinati in vista del bene comune all'interno di questa visione universale in cui persona, comunità e mondo si intersecano ineluttabilmente.
Il ricorso alle tre potenze: memoria, intelletto e volontà, di retaggio ignaziano (Ignazio di Loyola), non è sinonimo di limitazione delle libertà individuali, ma un valido presupposto per affermare un’etica comune e per essere, creare, ri-creare, mantenere e difendere le relazioni in vista del bene comune e dunque per accrescere il valore imprescindibile della libertà di ciasuno per essere comunità all'interno di questo mondo da tramandare alle generazioni future (per questo possiamo dare un esempio e, dell'umana convivenza, un esempio è vivere la comunità).
Il ricorso alle tre potenze individua, forse, la più piccola e basilare ed insignificante “regola”, ancorché implicita, che può fondare una comunità…

“Se si pensa al volo di uno stormo di uccelli, la forma ordinata che assume non dipende da una legge generale o dal comando di un capo, ma ‘emerge’ dalle interrelazioni tra gli individui che seguono poche regole base, come quella di porsi in una certa posizione rispetto ai vicini” (cfr. “Storie di ordinario caos”, articolo di Luca de Biase apparso su Nòva – Il Sole-24 ore di giovedì 16 marzo 2006). “La vera amicizia non consiste nel trovare nuovi amici, ma nel vedere i soliti con occhi diversi. I pensieri, come le parole, hanno la loro importanza, possono formare una coscienza: qualsiasi cosa noi amiamo, è quello che noi siamo. Questo mi indirizza” (una frase nata e soffermata per scritto avendo letto e riflettuto su due pensieri, uno di Marcel Proust, l’altro di David Leavitt dal “Linguaggio perduto delle gru”).

Prato, lì 19-20.03.2006 / Memoria di san Giuseppe, patrono dell’umanità / 06.01.2007 / Epifania del Signore / 09.04.2007 / Lunedì dell’Angelo / 20.01.2008 / Memoria di san Sebastiano.

giovedì 10 gennaio 2008

Chi ama Dio, ami anche il suo fratello

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo: 1 Gv 4,19 - 5,4
Carissimi, noi amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.
Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.

Lc 4,18
Il Signore mi ha mandato
ad annunziare ai poveri il lieto messaggio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.


Dietrich Bonhoeffer
DBW 15,497

"[...]. La parola ebraica per ramo è nèzer, che è proprio la radice del toponimo Nazaret. Tanto nascosta in profondità il vangelo trova dunque la promessa nell'Antico Testamento che Gesù sarà povero, disprezzato e piccolo. Nel cammino così poco comprensibile per Giuseppe e per il mondo intero verso la misera Nazaret si compie da capo il cammino di Dio con il Salvatore del mondo intero. Egli deve vivere nella più profonda povertà, oscurità e umiliazione, deve prendere parte alla vita di coloro che non hanno rispetto e che sono disprezzati, affinché porti su di sé la miseria di tutti gli uomini e possa divenire il Salvatore".

tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

mercoledì 9 gennaio 2008

Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi

Dalla prima lettera di San Giovanni apostolo: 1 Gv 4, 11-18
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi.
Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio.
Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.
Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.

Is 49, 8-9
Ti ho formato e posto come alleanza per il popolo, per far risorgere il paese, per farti rioccupare l'eredità devastata, per dire ai prigionieri: Uscite, e a quanti sono nelle tenebre: Venite fuori.

martedì 8 gennaio 2008

Dio è amore

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo: 1 Gv 4, 7-10
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

domenica 6 gennaio 2008

Epifania del Signore - Inno - Vespri

Perché temi, Erode,
il Signore che viene?
Non toglie i regni umani,
chi dà il regno dei cieli.

I Magi vanno a Betlem
e la stella li guida:
nella sua luce amica
cercan la vera luce.

Il Figlio dell'Altissimo
s'immerge nel Giordano,
l'Agnello senza macchia
lava le nostre colpe.

Nuovo prodigio, a Cana:
versan vino le anfore,
si arrossano le acque,
mutando la natura.

A te sia gloria, o Cristo,
che ti sveli alle genti,
al Padre e al Santo Spirito
nei secoli dei secoli.