giovedì 8 maggio 2008

Per un'etica della città

La Città delle Scienze e delle Arti ed il porto dell'America's cup di Valencia integrati in una città che si è saputa rigenerare dalle sue fondamenta.

Tutto ciò che è umano mi interessa, anche se spesso non è esteticamente moderno ed accattivante, ma ogni trasformazione di città – seppur è interessante – ha un costo umano (sociale, economico, culturale, religioso etc.) e dunque può esser bella, vera e buona a seconda del bene comune che riesce a produrre per i propri cittadini-abitanti. C’è infatti un paradosso che è alla base del nostro essere architetti in giro per il mondo – nuovi giapponesi capaci di catturare immagini ovunque – ed è quello di essere sempre meno cittadini-abitanti di Città e sempre più cittadini-consumatori di eventi e di parchi tematici prodotti o sotto-prodotti dalla globalizzazione; pronti, cioè, ad essere sensibili nei confronti di un’etica dell’estetica, piuttosto che nei confronti dell’etica della Città…

Che giudizio si dà a Valencia, cogliendo le grandi opere della Città delle Scienze e della Arti – di Santiago Calatrava – e del Porto America’s Cup con la realizzazione prossima futura del nuovo circuito di Formula 1 e l’intervento di David Chipperfield? Valencia è più una città globalizzata – resa simile a tante altre dal mondo della finanza e da un indistinto international fashion stile – o è piuttosto un luogo salvato ma morto a livello globale?…

Questo mio primo reportage – da scrittore e da fotografo – cerca di entrare nel cuore di questa etica e di questa città con tutti i limiti di chi visita e non vi abita (http://www.flickr.com/photos/felicinocuorcontento/).

Valencia è a mio modo una Città glo-cal (fra il globale ed il locale), anzi una solida città che ha integrato nel suo presente locale – pensato ed organizzato fin dagli anni ‘80 – le risposte essenziali da dare prima di tutto ai propri cittadini-abitanti, dove la cosiddetta architettura da copertina risulta oggi – seppur magniloquente e monumentale – marginale rispetto all’impianto vasto, coeso e funzionante della città. A Valencia si percepisce una visione alta della politica, sia dei cittadini che degli amministratori, dove ciascuno sembra capace di pensare al bene comune e non solo ad amministrare il dato corrente senza immagine per il futuro (un bene altrettanto comune e necessario per le generazioni avvenire…).

Proviamo a tirare una linea, a fare le somme per vedere se il risultato della Valencia contemporanea può considerarsi positivo allora.

Per prima cosa Valencia è una città dove l’evidente vastità della sua anonima ed amorfa periferia – a volte squallida – trova l’essenziali risposte all’irrinunciabile necessità di benessere e di relazione dei cittadini nel letto di un fiume – il Turia – oramai privo di acqua e trasformato in un enorme parco verde attrezzato, mosso e vario, spina dorsale di tutta intera la città. Su di esso si affacciano interi quartieri cittadini, è attraversato da strade e linee metropolitane, è arricchito da piste ciclabili e percorsi pedonali, da campi sportivi e da giardini per ogni età, da luoghi di ritrovo all’aperto o al riparo delle intemperie per un sano vivere civico. Ma Valencia – ed è il suo secondo aspetto – è anche la città che, ai margini di se stessa, alla foce del fiume inesistente e nel porto marittimo decaduto, ha trovato risposte ad altre attese da sempre tenute vive quali quelle di una città secolare, ricca di cultura e di beni, cresciuta grazie al lavoro dei mercanti valenciani in giro per il mondo: essere inter-nazionale. La costruzione di una città nella città, o se vogliamo di un parco nel parco – presente nel letto del fiume Turia – quale è stata la realizzazione della Città delle Scienze e delle Arti di Santiago Calatrava, il più celebre dei valenciani viventi, ingegnere/architetto – enormi, magniloquenti e monumentali architetture, veri mammuth tecnologici della modernità – e la trasformazione del bacino portuale decaduto in un nuovo terminale finanziario capace di richiamare eventi mediatici internazionali, quali l’America’s cup o il prossimo gran premio di Formula 1, rappresenta il respiro ed il volto internazionale della Valencia contemporanea.
Valencia glo-cal: globale per il cittadino-consumatore chi proviene da fuori e da dentro la città contemporanea, e locale per il cittadino-abitante della municipalità valenciana. Valencia sia per le famiglie che per la finanza, sia per la comunità valenciana che per la Spagna, che per i cittadini-turisti-consumatori dell’Unione Europea od extracomunitari… Valencia, dunque, un affare mediatico – capace di attrarre capitali stranieri – riuscito perché rispettoso della Città?
Quello che si nota camminando per giorni dentro il letto del Turia – deviato dall’uomo/recuperato dall’uomo – è che il corso del fiume verde, del parco al posto del fiume, collega e non separa le due città presenti nella città di Valencia – la città storica ed abitata, e quella internazionale e avveniristica di Calatrava o di Chipperfield: la città storica defluisce lentamente verso quella avveniristica fino ad arrivare al porto e quella internazionale risale dal porto, con la risacca marina, portando i nuovi bene dei mercati globali e mediatici alla città abitata. Così come il vecchio mondo si collegava al nuovo tramite il mare, oggi dal mare globale si risale il fiume trasformato da collegamenti mediati e globalizzati verso la medesima città. Ma a Valencia si è fatto anche qualcosa di diverso ed in più, si risale per il fiume verde, vivo, pieno di una fauna tutta umana: le persone.
Valencia è tanto ricca di tradizioni etno-culturali e religiose, quanto laica e spregiudicata nella modernità; per la città storica/abitata e per quella avveniristica/internazionale, l’orizzonte resta il solito: il futuro, simbolicamente rappresentato dalla foce del fiume – trasformata in città delle scienze e delle arti – e dal porto marittimo – trasformato dall’America’s cup e dal circuito mondiale di Formula 1. L’approdo e la partenza in questa città si compenetrano, così come storia ed avvenire si soffermano in un presente vissuto, locale e globale, comunque non idealizzato, e concretizzto. Qui a Valencia, globale e locale cercano un equilibrio nient’affatto illusorio anche se i mammuth di Calatrava o le sporgenti ed aggettanti terrazze di David Chipperfield, al porto dell’American’s cup, sembrano strizzare un po’ troppo compiaciuti l’occhio ad un international life stile ipertecnologico e modaiolo (sotto le terrazze di Chipperfield e suadentemente sdraiati – e non seduti – su enormi puff minimal chic si sentono risuonare solo note da buddabar).
L’uno e l’altro intervento – la città tematica ed il porto international stile – che oggi sembrano all’avanguardia sono forse votati, fra dieci o venti o al massimo trent’anni, ad essere archeologia del presente? Le monumentali creature di Calatrava fra qualche anno non diventeranno forse dei mammuth tecnologici ritrovati nella foce di un fiume che non c’è più? Ed il porto mediatico, costruito per Alinghi e per farvi sfrecciare le avveniristiche macchine di Formula 1, non risuonerà di assordanti silenzi siderali se le telecamere della globalizzazione non tornano regolarmente a puntarvi i loro riflettori?
Questo è sicuramente il pericolo di Valencia – perché nessuno oggi resiste ai media o alla loro assenza – ma sembra essere anche un rischio calcolato: l’eventuale fallimento di uno di questi due interventi non troverà una città sbilanciata; il baricentro è saldo nell’entroterra, nel cuore della Città storica/abitata di Valencia. Si può vivere anche senza Calatrava e senza un porto mediatico; entrambi gli interventi si riducono in fondo ad essere due enormi parchi del divertimento tematici.
Ebbene, quando una Città nel suo insieme vive su delle solide fondamenta, tutto questo non si traduce in fattore di destabilizzazione, ma di stimolo, di simbolo, di identità per i suoi cittadini-abitanti. L’operazione messa in atto da Valencia è solo in parte vanitas, dall’altra è cultura e intraprendenza con la consapevolezza che la Città oggi già vive bene.
Da una parte il recupero del letto del fiume Turia è stata la vittoria del cittadino-abitante di Valencia, dall’altra la Città delle Scienze e delle Arti ed il porto dell’American’s cup e della Formula 1 sono l’occasione vinta dal cittadino-consumatore glo-cal, turista-consumatore, architetto-consumatore, moderno giapponese (qualsiasi cittadino occidentale, oggi, è pronto a scattare quantità sconsiderate di foto digitali o di filmare centinaia di minuti scaricabili su blog ed in You Tube…). Da una parte abbiamo la capacità di una municipalità spagnola di “fare” urbanistica – basta addentrarsi per la città storica, per il quartiere universitario, per il quartiere direzionale etc. – dove il cittadino-abitante ha vinto la sfida di una politica che è impegnata a progettare il bene comune, dall’altra abbiamo l’esaltazione tecnicista e modaiola di interpretare l’essere di una città nel mondo come cittadini-consumatori… Contraddizioni del medesimo cittadino – ora abitante, ora consumatore – e della solita città?
Resta l’inopinabile fatto che oggi a Valencia non è come essere dieci anni fa a Bilbao; Valencia è riuscita a mediare – nelle pur evidenti contraddizioni che mai del tutto si possono assorbire o neutralizzare – fra due anime e fra due visioni della città contemporanea ed occidentale: quella appunto del cittadino-abitante (sempre in cerca di spazi di relazione, di socializzazione) e quella per il cittadino-consumatore (sempre in cerca di bisogni e di soddisfazioni). Tant’è che per comprendere le contraddizioni non assorbite basta spostarsi verso la periferia di Valencia dove i numerosi centri commerciali sono nuove cattedrali del consumismo laicista in cui ogni appartenenza religiosa, etnica, culturale etc. si appiattisce, e dove le parrocchie vere, quelle ancora presenti e radicate nella cattolicissima Spagna, risultano letteralmente assorbite dai palazzi pluripiano e incapaci – urbanisticamente e simbolicamente – di gareggiare con edifici ed insegne pubblicitarie sempre più sfavillanti ed aggressivi commercialmente.
Dunque, Valencia ampia e vasta si è o non si è lasciata vincere dalla globalizzazione? A parer mio no, non si è lasciata vincere, ma certamente non per questo è Utopia; ha solo trovato, se così si può affermare, un equilibrio seppur labile come tutti gli equilibri moderni, perché dinamici e mai statici. Essa tenta di assorbire nella tradizione che non ha abbandonato – assolutamente presenti in città sono le produzioni agro-silvo-pastorali e la commercializzazione dei prodotti ittici pescati nel frontistante mediterraneo, le feste religiose etc. – i portati della globalizzazione ed in parte, questi restano ai suoi margini, simbolicamente alla foce del vecchio fiume e nel porto trasformato dai media. Può essere sufficiente per il futuro di una città di 800.000 abitanti?
Se da una parte a Valencia abbiamo le attrattive per chi non è più cittadino-abitante, ma cittadino-consumatore / turista-consumatore, dall’altra permane l’opera profonda di una città che non ha perso il legame con l’entroterra e con il mare, con le tradizioni, con la storia, con la religione, con il mondo del lavoro; anzi è da questa parte che è iniziato il cammino difficile e doloroso della rigenerazione. Oggi il centro storico è vivibile, forse uno dei centri storici più vivibili che abbiamo in Europa. Non è un caso che, girando per la città, si abbia l’impressione di incontrare persone felici, abitanti fieri di vivere a Valencia. In fin dei conti nessun valenciano mi è sembrato troppo compiaciuto della Città delle Scienze e delle Arti, o del porto dell’American’s cup; agli spettacolari e scenografici interventi messi in atto preferisce il rinnovo urbano stando attento alla qualità e al costo della vita. La città di Valencia non ha abdicato alla responsabilità di darsi un futuro e di perseguirlo nell’insieme del suo territorio urbano. Certo, le periferie più estreme restano le più degradate (scambiatori di calore appesi a finestre e a balconi sono la norma, così come le foreste di antenne sopra gli edifici), ma anche lì gli spazi di relazione per anziani e bambini non mancano ed un parco, un giardino, una panchina ed una parrocchia sono sempre presenti.
La Città delle Scienze e delle Arti, così come il porto dell’Amercica’s cup, sono sicuramente un costoso intervento da mantenere, ma marginali. E’ nell’entroterra, nel cuore della città storica che si incontrano i fermenti che hanno dato origine a queste operazioni finanziarie e culturali. Calatrava è nato, ha studiato ed ha frequentato l’Università di Valencia; qui risiede in un bellissimo terratetto proprio dietro la Cattedrale dedicata alla Beata Vergine Maria.
Tirando la somma, di fronte a queste operazioni messe in atto dalla municipalità valenciana, non si ha un risultato la cui somma è negativa o pari a zero; qui non si sono costruite delle cattedrali nel deserto, anche se Dubai – stando sotto queste architetture di Calatrava o sulla pista di Formula 1 – non è lontana. Siamo ancora nel cuore della vecchia Europa cristiana e della cattolicissima Spagna, seppur sempre più laicista, secolarizzata e globalizzata, ed il fuoriscala non sono città costruite nell’arco di pochi anni in pieno deserto senza tradizioni, senza storia, senza un legame.