lunedì 31 dicembre 2007

Egli ha fatto bene ogni cosa

Dietrich Bonhoeffer
DBW 14, 258s

"Alla fine di questo anno vogliamo parlare di ogni settimana, di ogni ora che è passata. Vogliamo farlo pregando, finché non vi sarà più alcuna ora di cui non vorremo dire: 'Egli ha fatto bene ogni cosa' (Mc 7,37). Proprio i giorni che sono stati difficili, che ci hanno tormentato e impaurito, i giorni che ci hanno lasciato una traccia di amarezza, oggi non li volgiamo lasciare dietro di noi prima di essere grati anche per essi e di aver confessato umilmente: 'Egli ha fatto bene ogni cosa'. Non li dobbiamo dimenticare, ma superare. Questo avviene tramite la gratitudine. Non dobbiamo sciogliere l'enigma irrisolto del passato e cadere in un tormentoso rimuginio, ma lasciar stare l'incomprensibile e riconsegnarlo pacificamente nelle mani di Dio. Questo avviene tramite l'umiltà: 'Egli ha fatto bene ogni cosa'. Ma rimane ancora il pungiglione più temibile: 'Mia colpa, mia colpa!'. [...] Il frutto maligno del mio peccato che continua a produrre incessantemente i suoi effetti. Come posso metterli fine? E certo non sei un cristiano, ma ti indurisci soltanto nel tuo peccato, se non sei in grado id dire, anche della tua cola: 'EGLI ha fatto bene ogni cosa!'. E questo non significa che noi abbiamo fatto bene ogni cosa. [...] Questa è l'ultima e più sorprendente conoscenza del cristiano, che egli può dire anche del suo peccato: 'Egli ha fatto bene ogni cosa'".

tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

Il Verbo si fece carne
Dal vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.

sabato 29 dicembre 2007

Dio sa aspettare

Dietrich Bonhoeffer
DBW 13, 514s

"L'uomo è il perdente, Dio il vincitore. Dio lascia che l'uomo parta e gli fa fare progressi, gli fa avere successo e in questo sembra puramente passivo, le sue contromosse sembrano proprio senza importanza, al punto che le notiamo raramente. Così andiamo avanti, fieri, superbi, certi del nostro successo e della nostra vittoria. Ma Dio sa aspettare e talora aspetta anno dopo anno. [...] Dio aspetta nella speranza che l'uomo comprenda finalmente le sue mosse e voglia tenerne conto nella sua vita. Ma una volta in ogni vita - e questo può essere anche soltanto nell'ora della morte - Dio incrocia la sua vita, in modo tale che l'uomo non può fare più alcun passo, deve fermarsi e deve riconoscere con timore e tremore la potenza di Dio e la propria debolezza. [...] Soltanto in questi grandi momenti della nostra vita comprendiamo il significato della guida di Dio in essa, comprendiamo la potenza e l'ira di Dio, e soltanto ora riconosciamo che queste ore in cui Dio ha incrociato la nostra vita, sono le uniche ore realmente importanti della nostra vita. Soltanto esse rendono la nostra vita degna di essere vissuta".

tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

venerdì 28 dicembre 2007

Festa dei santi martiri Innocenti - Esiste soltanto una vita vera

Dietrich Bonhoeffer
DBW 13, 513

"La nostra vita non è affatto una linea retta che segue la nostra volontà e il nostro intelletto, bensì un qualcosa che è formato da due diverse linee, due diversi elementi, due diverse forze. La vita si compone dei pensieri dell'uomo e delle vie di Dio; e in verità non vi è affatto una via dell'uomo, poiché 'il cuore dell'uomo pensa molto alla sua vita' (Pr 16,9), il che significa che da una parte c'è soltanto un progetto di vita, una via ideale, teorica, illusoria e dall'altra un'unica vera via per la quale dobbiamo inevitabilmente andare, la via di Dio. La differenza fra le due vie è che l'uomo vorrebbe prevedere in una volta la totalità della sua vita, ma la via di Dio procede passo dopo passo: 'il cuore dell'uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore guida i suoi passi'. [...] Dio vorrebbe che l'uomo andasse passo dopo passo, guidando la sua vita non con le proprie idee, ma con la Parola di Dio che lo raggiunge a ogni passo, ogni volta che la cerca. Non c'è alcuna Parola di Dio per la totalità della nostra esistenza. La Parola di Dio è nuova e libera, oggi e domani, e può soltanto essere riferita al momento in cui la ascoltiamo".

tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di Manfred Weber, Queriniana, Brescia 2005.

martedì 25 dicembre 2007

Natale del Signore - Lettura breve ai secondi Vespri

Inizio della prima lettera di Giovanni 1 Gv 1, 1-3
Vi annunziamo ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita. Poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi. Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.

Natale del Signore - Riconosci, cristiano, la tua dignità




Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193)

Riconosci, cristiano, la tua dignità
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

lunedì 24 dicembre 2007

Natale del Signore - Cantico ai primi Vespri

Lettera ai Filippesi 2,6-11

Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, *
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso, †
assumendo la condizione di servo *
e divenendo simile agli uomini;

apparso in forma umana, umiliò se stesso †
facendosi obbediente fino alla morte *
e alla morte di croce.

Per questo Dio l'ha esaltato *
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;

perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi †
nei cieli, sulla terra *
e sotto terra;

e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, *
a gloria di Dio Padre.

giovedì 20 dicembre 2007

La storia di Natale

C’è una storia intera dietro Maria che accoglie.
Quanto semplice il gesto di Maria,
quanto universale,
per ciascuno che accoglie
nel medesimo, fiducioso, umile e consapevole modo,
la Parola che si fa carne in noi.

"Dio si fa uomo per amarci di più!", mi disse un'amica.

E continuò: "Siccome non lo avremmo capito, Dio si è fatto uomo:
nudo, fragile, debole, tentabile, emigrato, spostato,
soggetto ad essere tradito di nuovo per libero rifiuto...


Poi, fece una pausa e soggiunse: "Che grazia capirlo!"

Ti auguro per Natale questa gioia qui.
Questa ti basti, questa ti riempia il cuore!



Perché il Natale viene in mezzo alla famiglia / Risplende in essa
di una Luce che si accende / dentro

Speranza ... Fede ... Carità

domenica 16 dicembre 2007

Domenica 16 dicembre 2007 - terza di avvento

Giovanni è la voce, Cristo la Parola
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 293, 3; Pl 1328-1329)

Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.
Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma non edifica il cuore.
Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le do suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.
Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov'è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.
E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. «Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta». Gli fu risposto: Ma tu allora chi sei? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore (cfr. Gv 1, 20-23). Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio.
«Preparate la strada» significa: Io risuono al fine di introdurre Lui nel cuore, ma Lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.
Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.

sabato 15 dicembre 2007

C'è il mistero gioioso e bellissimo della neve

C'è il mistero gioioso e bellissimo della neve
che scende quest'oggi
impalpabile silenzio
richiede altrettanto silenzio

Ascolta la voce che si fa nel cuore
Mistero

venerdì 14 dicembre 2007

San Giovanni della Croce - sacerdote e dottore della Chiesa (1542-1591)

La conoscenza del mistero nascosto in Cristo Gesù
Dal «Cantico spirituale» di san Giovanni della Croce, sacerdote.

Per quanto siano molti i misteri e le meraviglie scoperte dai santi dottori e intese dalle anime Sante nel presente stato di vita, tuttavia ne è rimasta da dire e da capire la maggior parte e quindi c’è ancora molto da approfondire in Cristo.
Egli infatti è come una miniera ricca di immense vene di tesori, dei quali, per quanto si vada a fondo, non si trova la fine; anzi in ciascuna cavità si scoprono nuovi filoni di ricchezze.
Perciò san Paolo dice di lui: «In Cristo si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) nei quali l’anima non può penetrare, se prima non passa per le strettezze della sofferenza interna ed esterna. Infatti a quel poco che è possibile sapere in questa vita dei misteri di Cristo, non si può giungere senza aver sofferto molto, aver ricevuto da Dio numerose gra zie intellettuali e sensibili e senza aver fatto precedere un lungo esercizio spirituale, poiché tutte queste grazie sono più imperfette della sapienza dei misteri di Cristo, per la quale servono di semplice disposizione.
Oh, se l'anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere, riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio!
Come chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nello spessore della croce!
Per questo san Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno nelle tribolazioni, ma stessero forti e radicati e fondati nella carità, e così potessero comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (cfr. Ef 3, 17-19). Per accedere alle ricchezze della sapienza divina la porta è la croce. Si tratta di una porta stretta nella quale pochi desiderano entrare, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per suo mezzo.

giovedì 13 dicembre 2007

Santa Lucia - Vergine e martire (inizio sec. IV)

Lo splendore dell'anima illumina la grazia del corpo
Dal libro «Sulla verginità» di sant'Ambrogio, vescovo
(Cap. 12, 68. 74-75; 13, 77-78; PL 16, 281. 283. 285-286)

Mi rivolgo a te, che vieni dal popolo, dalla gente comune, ma appartieni alla schiera delle vergini. In te lo splendore dell'anima si irradia sulla grazia esteriore della persona. Per questo sei un'immagine fedele della Chiesa.
A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. E' questo che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta. Sta' sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà, colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo, prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L'anima tua gli vada incontro sulla sua parola, e s'intrattenga poi sull'impronta lasciata dal suo divino parlare: egli passa via presto.
E la vergine da parte sua che cosa dice? L'ho cercato ma non l'ho trovato; l'ho chiamato ma non mi ha risposto (cfr. Ct 5, 6). Se così presto se n'è andato via, non credere che egli non sia contento di te che lo invocasti, lo pregasti, gli apristi la porta: spesso egli permette che siamo messi alla prova. Vedi che cosa dice nel vangelo alle folle che lo pregavano di non andarsene: Bisogna che io porti l'annunzio della parola di Dio anche ad altre città, poiché per questo sono stato mandato (cfr. Lc 4, 43).
Ma anche se ti sembra che se ne sia andato, va' a cercarlo ancora.
E' dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l`ha già insegnato se ben comprendi ciò che leggi: Avevo appena oltrepassato le guardie, quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò (cfr. Ct 3, 4). Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l'amore dell'anima.
Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza. E' più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei persecutori. Lei dice. Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate. Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male, subito, all'istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova.
Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: L'ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice (cfr. Ct 3, 4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario più intimo del tuo essere?
Custodisci questa casa, purificane l'interno. Divenuta perfettamente pulita, e non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa. Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.

mercoledì 12 dicembre 2007

Lezione per giovani "apprendisti architetti" (II): la vera bellezza dell'architettura e la modestia dei vignaioli..

L’uomo è un animale ragionevole con una vita spirituale, un’anima rivestita da un corpo, piuttosto che un corpo animato da uno spirito alieno. L’uomo, insomma, è un animale dotato di un corpo e di un’anima, in cui la sua parte razionale e spirituale convivono egregiamente. Dicevo nella lezione precedente che “le ragioni del fare si ritrovano nello spirito”, non con questo che sia implicato l’homo religiosus obbligatoriamente, ma la parte di un uomo, cosiddetta “spirituale” ed “interiore”, sì. Per questo l’architettura possiede sempre almeno tre qualità: la cultura (è espressione di valori di una società), un fondamento teorico (è razionale), infine la bellezza … non propriamente estetica, ma rappresentante il bello attraverso quel passaggio – unico ed irripetibile – che emerge dalla spiritualità e dall’interiorità di chi la costruisce …

L’architettura giunge alla “bellezza” solo se attraversa ed esprime “razionalmente” dei “valori” rielaborati in quel processo spirituale unico ed irripetibile dell’interiorità dell’architetto genericamente e non individualisticamente inteso. In questo senso la “bellezza” è espressione, non solo dell’esteticamente bello, ma del giusto – bonum – in quanto bene per l’uomo, del vero – verum – in quanto vero per tutti gli uomini e per ciascuna persona, infine “pulcher”, ovvero “bella”.

Da questa visione dell’architettura “spirituale” e “interiore” assieme, scaturisce dunque una visione altamente etica del fare architettura. Solo se parte da questa percezione spirituale ed interiore del vivere umano, del vivere civile e sociale, l’architettura sarà capace di essere “bella”, perché “buona”, perché “vera”, perché rappresentativa della dignità e della bellezza della persona umana, giocatasi per il bene comune (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica).

Se queste sono le qualità dell’architettura, le qualità di coloro che fabbricano architetture, allora, quali saranno? Prima di tutto la modestia dei vignaioli che testardamente amano la propria terra e che sanno essere umili, come altri, e non padroni di una vigna non loro; la professionalità che caparbiamente alimenta il proprio sapere tecnico-scientifico per meglio costruire, ma anche la professionalità intesa come il talento del vignaiolo messo a disposizione di tutti e di ciascuno; infine, l’attitudine tipica del vignaiolo saggio che non teme di coltivare il fondamento teorico del proprio fare, perché giunto alla consapevolezza di non essere figlio di se stesso, non solo ha riconosciuto un dono messo a disposizione nelle proprie mani dai suoi avi, ma ha compreso la necessità di coltivare – oltre che la vigna – il proprio campo interiore, la propria mente ed il proprio cuore – quel luogo spirituale di ogni uomo, della ragione e dello spirito assieme.

Un’azione, allora, quella dell’umile e del saggio vignaiolo che, tramite l’attitudine a coltivare lo spazio teorico dentro il fare del costruire, svela e rivela il mistero nascosto e presente nella natura e nello spazio architettonico; un agire spirituale ed etico assieme, affinché tutti gli uomini possano godere della vigna e del frutto della vigna stessa. Un agire spiritualmente rilevante ed eticamente necessario …

Si pensi alle grandi crette di Burri a Gibellina, dove lo spazio diventa un luogo percorso dalle stagioni, un campo coltivato dai pellegrini che vi entrano e che vi escono, una vigna sotto il sole e sotto la luna, simboli del tempo e del richiamo all’eternità … Il grande apprendista fabbricatore di architetture – il giovane apprendista architetto – si fa certamente re, sacerdote, profeta dell’umanità, ma parte dalla vigna e dal suo essere sempre e costantemente vignaiolo, uomo nella natura e uomo come gli altri uomini, uomo in mezzo alla spazio della natura e della cultura, ma uomo – anche – che eleva se stesso, la propria umanità per darle pienezza.

Non è casuale che né la venustas, né l’utilitas, né la firmitas da sole, senza la concinnitas, senza cioè colei che le armonizza o le concilia, possano dischiudere il mistero della “bellezza” perché la “bellezza” è sempre l’umile ancella della grande spiritualità e della grande interiorità dell’uomo e contemporaneamente è l’umile dominio esercitato dall’uomo stesso che mette ordine nel caos per far brillare l’avventurosa stella dell’umanità in mezzo all’universo.

Architettura, allora, che ci fa essere sicuramente dominus – signori e dominatori – ma anche hospes – ospiti di questa terra come vignaioli.

“Architettura” come “bellezza”, come buona e bella notizia, come lume spirituale di chi comprende che la vita è dono da coltivare, da accudire, da difendere, da trasmettere, da valorizzare, da purificare, da emendare, da elevare spiritualmente – certamente secondo ragione.

martedì 11 dicembre 2007

Lezione per giovani "apprendisti architetti" (I): l'uomo spirituale e l'architettura.

Analizzo tre espressioni, prima di entrare nel merito di questa “lezione per giovani apprendisti architetti”: uomo religioso, uomo spirituale e uomo interiore. Nessuno si spaventi… Le ragioni del fare si ritrovano nello spirito; con questo non voglio implicare l’homo religiosus, ma la parte di un uomo, cosiddetta “trascendente” ed “interiore”, sì. Vediamo come ed in quale senso …

Mentre l’uomo religioso può avere una vita spirituale – soltanto se matura la sua fede e cresce umanamente – e l’uomo spirituale può essere religioso solo e soltanto se fa quel salto che la fede gli propone, quest’ultimo, in mancanza della fede, resta comunque un uomo che trascende la realtà. Per l’uomo spirituale la realtà non è la fine, la conclusione, della sua umanità anche se Dio non è il suo fine. L’uomo spirituale vive una dimensione dell’esistenza aperta ed universale al di là del proprio limite; insomma, ha un rapporto diverso con la materia.
Per fare un esempio richiamo la grande esperienza di Antoine De Saint-Exupery nel secolo scorso. Questi ha lasciato pagine assolutamente importanti ed uniche della sua esistenza e della sua esperienza come uomo, come aviatore e come artista; da non credente è riuscito a toccare vette stupefacenti, non solo per ricchezza, per sensibilità e per vita interiore, ma per aver continuamente colto un mistero che nella realtà parla all’uomo: l’infinitamente trascendente della materia. Rimando alla sua biografia e alle sue note di viaggio – non solo al Piccolissimo Principe, da molti amato.

Se è pur vero che l’uomo interiore non ha niente a che vedere di per sé né con l’uomo religioso, né tanto meno con l’uomo spirituale (una profonda ed intensa vita interiore può benissimo essere atea o materialista, ad esempio), è altrettanto vero che una vita religiosa – se ben matura – non solo è spirituale, ma anche ricca di vita interiore, ed una vita spirituale – seppur da non credente – ha sempre una ricchezza interiore, umanamente universale. Dunque, una vita interiore che si apre alla vita spirituale può fare una certa differenza …

“Le ragioni del fare si ritrovano nello spirito”, non con questo che sia implicato obbligatoriamente l’homo religiosus, ma che sia implicita la parte di un uomo, cosiddetta “spirituale”, sì. L’uomo spirituale non si ferma di fronte alla materia, ma di fronte ad essa si interroga e cerca sempre di darsi una risposta diversa da ciò che subito gli appare. Tende a manipolarla – gesto creativo per eccellenza – e tende a rintracciare una storia, a raccontarla, a narrarla – gesto altrettanto creativo, perché implica la ricerca di senso (chi sono, da dove vengo e dove vado). E’ chiaro, a questo punto, che con questo mio dire sulla “spiritualità” non mi riferisco tanto ad una nozione “metafisica” o “idealista” sull’uomo, quanto piuttosto ad una visione “esistenzialista” dell’uomo stesso. Tanto per capirsi: fra Cartesio e Pascal ho sempre preferito il secondo, fra Hegel e Nietzsche ho sempre preferito il secondo, fra Kant e Kierkegaard ho sempre preferito il secondo, fra Schopenhauer e Bergson ho sempre preferito il secondo, seppur ho amato il primo; fra Heidegger e Maritan ho sempre preferito il secondo, seppur ho apprezzato il primo etc.

Ebbene, se l’uomo spirituale non si esaurisce nel suo “essere materia” – seppure il suo esserci è percepito per scomparire – allora ai suoi occhi la materia stessa acquista una dignità diversa: diventa corpo animato e lo spazio, ad esempio, diventa luogo. Per l’uomo spirituale la realtà non è pura phisis, ma è soprattutto pneuma, luogo della storia e dell’incontro …
In un certo qual senso per parlare del corpo/anima, anziché della materia, o di luoghi – anziché di spazi – bisogna fare un salto “spirituale”: non solo gli uomini non sono semplici individui, monadi sparse sul globo, ma il loro essere persone in relazione fra di sé – che implica una fraternità – va sempre riconquistato con quella ragione del cuore – direbbe Blaise Pascal – che la ragione da sola non ha.

Piazza del Campidoglio – così come la Cappella Sistina – a Roma, ad esempio, più che materia hanno anima e più che spazi sono luoghi. Sono “luoghi animati” capaci di narrare e di raccontare al di là della mano che li ha creati e del tempo che li ha resi celebri. C’è, insomma, nei luoghi la ricerca di una ragione umana altra dalla semplice razionalità, c’è l’invito ad interrogarsi e a lasciarsi interrogare ben oltre l’apparenza, ben oltre le proporzioni dello spazio, ben oltre l’uso sapiente dei materiali, della tecnica, dei linguaggi, delle regole, delle leggi …

Dar vita all’architettura è concepire una vita spirituale; questa è vita eticamente rilevante. Ma questa è un’altra storia.

domenica 9 dicembre 2007

Domenica 9 dicembre 2007 - seconda di avvento

Dal «Commento sul profeta Isaia» di Eusebio, vescovo di Cesarea.

(Cap. 40, vv. 3. 9; PG 24, 366-367)

Voce di uno che grida nel deserto
Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3).
Dichiara apertamente che le cose riferite nel vaticinio, e cioè l'avvento della gloria del Signore e la manifestazione a tutta l'umanità della salvezza di Dio, avverranno non in Gerusalemme, ma nel deserto. E questo si è realizzato storicamente e letteralmente quando Giovanni Battista predicò il salutare avvento di Dio nel deserto del Giordano, dove appunto si manifestò la salvezza di Dio.
Infatti Cristo e la sua gloria apparvero chiaramente a tutti quando, dopo il suo battesimo, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo, scendendo in forma di colomba, si posò su di lui e risuonò la voce del Padre che rendeva testimonianza al Figlio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).
Ma tutto ciò va inteso anche in un senso allegorico. Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l'umanità. Questa infatti era un deserto completamente chiuso alla conoscenza di Dio e sbarrato a ogni giusto e profeta. Quella voce, però, impone di aprire una strada verso di esso al Verbo di Dio; comanda di appianare il terreno accidentato e scosceso che ad esso conduce, perché venendo possa entrarvi: «Preparate la via del Signore» (Ml 3, 1).
Preparazione è l'evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. Esse comunicano all'umanità al conoscenza della salvezza di Dio.
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme» (Is 40, 9).
Prima si era parlato della voce risuonante nel deserto, ora, con queste espressioni, si fa allusione, in maniera piuttosto pittoresca, agli annunziatori più immediati della venuta di Dio e alla sua venuta stessa. Infatti prima si parla della profezia di Giovanni Battista e poi degli evangelizzatori.
Ma qual è la Sion a cui si riferiscono quelle parole? Certo quella che prima si chiamava Gerusalemme. Anch'essa infatti era un monte, come afferma la Scrittura quando dice: «Il monte Sion, dove hai preso dimora» (Sal 73, 2); e l'Apostolo: «Vi siete accostati al monte di Sion» (Eb 12, 22). Ma in un senso superiore la Sion, che rende nota le venuta di Cristo, è il coro degli apostoli, scelto di mezzo al popolo della circoncisione.
Si, questa, infatti, è la Sion e la Gerusalemme che accolse la salvezza di Dio e che è posta sopra il monte di Dio, è fondata, cioè, sull'unigenito Verbo del Padre. A lei comanda di salire prima su un monte sublime, e di annunziare, poi, la salvezza di Dio.
Di chi è figura, infatti, colui che reca liete notizie se non della schiera degli evangelizzatori? E che cosa significa evangelizzare se non portare a tutti gli uomini, e anzitutto alle città di Giuda, il buon annunzio della venuta di Cristo in terra?

sabato 8 dicembre 2007

Immacolata concezione della Beata Vergine Maria - solennità

Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo 5, 12-21

Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

domenica 2 dicembre 2007

Domenica 2 dicembre 2007 - prima di avvento

Dal Salmo 121

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!

Là salgono insieme le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.

Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.