domenica 9 gennaio 2011

Ogni cosa ha il suo tempo

Dietrich Bonhoeffer
DBW 8,244s. [trad. it. cit. 228s] tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi" a cura di Manfred Weber, p. 13, Queriniana, 2007.

Dio non farà mancare, a chi lo trova e lo ringrazia nella propria felicità terrena, i momenti in cui gli sarà ricordato che tutte le cose terrene sono qualcosa di provvisorio, e che è bene abituare il proprio cuore all'eternità. [...] Ma tutto questo ha il suo proprio tempo, e ciò che più conta è tenere il passo di Dio, e non volerlo sempre precedere, né d'altra parte stargli indietro. E' un atteggiamento tracotante voler avere tutto in una volta. [...] Ogni cosa ha 'il suo tempo': "piangere e ridere [...] abbracciare e astenersi dagli abbracci [...] stracciare e cucire [...] (Qo 3,4.5b.7a) e Dio ricerca ciò che è già passato (Qo 3,15b)". Quest'ultimo passo significa che nulla di ciò che è passato va perduto, che Dio assieme a noi torna a cercare anche il passato che ci appartiene. Quando perciò ci coglie la nostalgia per qualcosa che è passato - il che accade in circostanze assolutamente imprevedibili - dobbiamo essere consapevoli che è solo uno dei 'momenti' che Dio tiene ancora in serbo per noi, e allora dobbiamo cercare di ritrovare il passato non da soli, ma in compagnia di Dio.

lunedì 3 gennaio 2011

Invictus

Invictus è una poesia scritta dal poeta inglese William Ernest Henley (1849-1903).
All'età di 12 anni Henley si ammalò gravemente di tubercolosi, tanto che fu necessaria l'amputazione della parte inferiore della gamba sinistra per permettergli di sopravvivere. La malattia non gli diede tregua per l'intera esistenza, ma Henley era dotato di una forza d'animo fuori dal comune. Venne spesso ricoverato per lunghi periodi in ospedale, in quanto anche il piede destro era a rischio di amputazione. Dopo tre anni passati in ospedale (1873-75) venne dimesso e, sebbene la cura non fosse del tutto riuscita, questa gli permise di vivere in modo autonomo per 30 anni.
Nel 1875, mentre si trovava in ospedale, scrisse la sua poesia più celebre, Invictus, pubblicata per la prima volta nel 1888 nel Book of Verses ("Libro di Versi") di Henley, dov'era la quarta di una serie di poesie intitolate Life and Death (Echoes). In origine non recava un titolo. Il titolo Invictus fu aggiunto dallo scrittore e critico letterario Arthur Quiller-Couch quando incluse la poesia nella sua fondamentale antologia della poesia inglese, The Oxford Book Of English Verse (1900) (cfr. wikipedia).

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.


Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l'angoscia.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l'Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

venerdì 31 dicembre 2010

Da benigne potenze

Dietrich Bonhoeffer
DBW 8,607s. [trad. it. cit. 565s] tratto da "Voglio vivere questi giorni con voi", Queriniana, 2007.

Circondato fedelmente e tacitamente da benigne potenze,
meravigliosamente protetto e consolato,
voglio questo giorno vivere con voi,
e con voi entrare nel nuovo anno;

il vecchio ancora vuole tormentare i nostri cuori
ancora ci opprime il grave peso di brutti giorni.
Oh, Signore, dona alle nostre anime impaurite
la salvezza per la quale ci hai creato.

E tu ci porgi il duro calice, l’amaro calice
della sofferenza, ripiena fino all’orlo,
e così lo prendiamo, senza tremare,
dalla tua buona, amata mano.

E tuttavia ci vuoi ancora donare gioia,
per questo mondo e per lo splendore del suo sole,
e noi vogliamo allora ricordare ciò che è passato
e così appartiene a te la nostra intera vita.

Fa' ardere oggi le calde e chiare candele,
che hai portato nella nostra oscurità;
riconducici, se è possibile, ancora insieme.
Noi lo sappiamo la tua luce risplende nella notte.

Quando il silenzio profondo scende intorno a noi,
facci udire quel suono pieno
del mondo, che invisibile si estende intorno a noi,
l’alto canto di lode di tutti i tuoi figli.

Da potenze benigne prodigiosamente protetti,
attendiamo consolati quello che accadrà.
Dio ci è al fianco alla sera e al mattino,
e, certamente, in ogni giorno che verrà.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il piede giullare

Vorrei scomparire / in questo tragitto
non ne avresti di meno
: "Nulla si toglie di ciò che non si ha"

Giratomi in dietro
ho visto il Cedro / più alto di me

E' la stagione del Corbezzolo / l'Oliva (è) raccolta
il Verde marcio / grigio del cielo
sporco con la zuppa terra

La Foglia ridente / ormai morta
contrappunto di un ramo

La mia mano / non spoglia
la tua nudità
: "La differenza schernisce ciò che si è"

Gioisci / tutto lo sguardo
di un piede giullare sulla pancia


Il dialogo / tutto il tempo cercato
morendo a se stessi

sabato 27 febbraio 2010

A Prato si è inventato un modello di (non)urbanistica

(sottotitolo)
L'urbanistica al centro del dibattito per la riqualificazione e la ripresa economica della Città

Le trasformazioni del territorio non si risolvono e non si affrontano uscendo dall'urbanistica; questo è il punto di partenza per ogni discussione su piani attutivi, accordi di programma e, in un ultimo, sul tipo di perequazione che a Prato sarà messa in atto.
Di per sé non è sbagliato ricorrere a piani attuativi di iniziativa privata o alla perequazione da parte dell’Amministrazione Comunale; è distorto invece l'uso, degli uni come dell’altra, in mancanza di una "pianificazione di riferimento" sufficientemente stabile e ferrea che indica dove e come spostare i diritti edificatori in maniera "sostenibile". Sostenibilità integrale, aggiungerei: economico-finanziaria, urbanistica, infrastrutturale, ambientale ed energetica; infine, ma non per ultima, sociale.
L'ipotesi che si è fatta di "rinnovare" il parco di Galceti, tramite un intervento "perequativo" a Maliseti, è l'esempio di un approccio sbagliato alle trasformazioni territoriali; esempio negativo semplicemente perché la "perequazione" ipotizzata prescinde da ciò che il Piano Strutturale - la pianificazione “sufficientemente stabile e ferrea” - prevede per Maliseti stessa. Ma non solo, è questa un'ipotesi che non prende in considerazione altri aspetti fondamentali per un approccio sostenibile alle "trasformazioni contemporanee" quali, ad esempio, le questioni legate alle infrastrutture e alla mobilità. Quali conseguenze, infatti, si ha nel costruire dove non è previsto dalla pianificazione, per l'economia di quei luoghi, per gli spostamenti urbani, per l'integrazione sociale e per la sicurezza, per il vivere comune?
A Prato, questo è anche un problema di classe dirigente che "amministra" da un decennio il "sapere" - non solo urbanistico, ma anche delle infrastrutture e della mobilità -, sapere che è stato spostato tutto quanto sull'impianto normativo, sulle procedure e sul "fare" abbandonando l' "urbanistica" ad orpello necessario, ma fastidioso; si noti dal 1999 quante volte sono state cambiate, aggiornate, modificate le norme del regolamento edilizio e di quello urbanistico, senza aggiornare il Piano Strutturale o modificare il regolamento urbanistico tout cour. Segno questo delle “visioni corte” con cui si è creduto opportuno dirigere la città.
E' possibile trasformare ancora territorio, a Prato, in maniera "sostenibile" e trasformalo in maniera da mettere in atto un processo virtuoso socio-economico, ma non speculativo-immobiliarista? Questa può essere una domanda giusta alla quale la classe dirigente della città non sembra interessata.
La risposta non è scontata perché la "trasformabilità" del territorio, per essere "sostenibile", deve passare non solo da una "pianificazione sostenibile", che oggi a Prato significa (1) variare in maniera organica e generale il Piano Strutturale e (2) il Regolamento Urbanistico, snellire e semplificare (3) il Regolamento Edilizio, ma da un uso "corretto", da parte dei privati e della classe dirigente comunale, degli (1) impianti normativi e delle (2) procedure senza "strumentalizzazioni" che aggirino l' "urbanistica" e il suo giusto rapporto con le "infrastrutture", la "mobilità" e la “società”.
Non è un caso che a pochissima distanza dall'approvazione del Regolamento Urbanistico di Secchi – cioè per una decina di anni - si sia fatto un sistemico e sistematico uso di piani attutivi di iniziativa privata, per variare lo stesso Piano Secchi, e un uso altrettanto sistemico e sistematico di "modifiche" all'impianto normativo di entrambi i regolamenti; segno questo della “non accettazione” del lavoro dell’urbanista, oggi, di fama mondiale. Errore di Secchi, a detta di molti, scusa per tanti che lavorano in città.
Questo è stato il "modello Prato" del "(non)fare" urbanistica, dopo Secchi, un modello che ha messo in crisi la città e ha distrutto l' "urbanistica" senza controbilanciamenti alcuni; decostruendo l'urbanistica non si è affatto innalzato la qualità del costruito, né tanto meno si è investito in un'architettura meritevole di essere presa a modello sostenibile.
In genere, si tende a responsabilizzare Secchi più di quanto non abbia di fatto errato nelle previsioni. La crisi economica, tutto sommato, non ha dato ragione a lui, ma ha tolto il velo a questo disinibito modo di trasformare il territorio.
Oggi, potremmo essere all'ultimo atto di questo modello negativo di (non)urbanistica, se con un distorto "modello perequativo", non fondato sulla corretta "pianificazione", si darà atto a nuove trasformazioni di carattere immobiliare, quale quella paventata per Maliseti.
Il problema principale non è cosa faremo o non faremo dell’area Ex-Banci, altro esempio sotto gli occhi di tutti, ma quale urbanistica vorremo adottare per riqualificare e rilanciare economicamente Prato. Continuare a focalizzare la nostra attenzione sulle singole aree degradate o abbandonate, Macrolotto 0, area ospedaliera etc. non fa vedere il male maggiore, ma permette a chi specula di giungere ad una soluzione vantaggiosa solo per sé.
Si auspica, non da parte di puristi ideologi, tanto meno da ambientalisti catastrofici, ma da chi ha cuore una "trasformazione sostenibile", economicamente e ambientalmente vantaggiosa per la città, un'inversione di marcia ed un cambio generazionale alla guida della macchina amministrativa pratese. Chissà, così facendo, che non si arrivi - infine - a un modello positivo di urbanistica per Prato e il suo territorio; infin dei conti nessuno desidera vivere in una città museo, tanto meno fra ruderi abbandonati o peggio fra grattaceli sconclusionati mentre il lavoro langue e i capitali non sono investiti per riqualificare e rilanciare economicamente Prato.

martedì 2 febbraio 2010

Saluto e augurio P.P. Pasolini

Saluto e augurio

A è quasi sigùr che chista
a è la me ultima poesia par furlàn;
e i vuèj parlàighi a un fassista
prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.

Al è un fassista zòvin,
al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassùt ta un paìs,
e al è zut a scuela in sitàt.

Al è alt, cui ociàj, il vistìt
gris, i ciavièj curs:
quand ch’al scumìnsia a parlàmi
i crot ch’a no’l savedi nuja di politica

e ch’al serci doma di difindi il latìn
e il grec, cuntra di me; no savìnt
se ch’i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpìn.

“Ven cà, ven cà, Fedro.
Scolta. I vuèj fati un discors
ch’al somèa un testamìnt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns

su di te: jo i sai ben, i lu sai,
ch’i no ti às, e no ti vòus vèilu,
un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir:
ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài

Difìnt i palès di moràr o aunàr,
in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.

Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.
Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat

tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.
I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,

ti lu sas, a è sapiensa santa.
Difìnt, conserva prea. La Repùblica
a è drenti, tal cuàrp da la mari.
I paris a àn serciàt, e tornàt a sercià

di cà e di là, nass’nt, murìnt,
cambiànt: ma son dutis robis dal passàt.
Vuei: difindi, conservà, preà. Tas:
la to ciamesa ch’a no sedi

nera, e nencia bruna. Tas! Ch’a sedi
’na ciamesa grisa. La ciamesa dal siun.
Odia chej ch’a volin dismòvisi
e dismintiàssi da li Paschis…

Duncia, fantàt dai cialsìns di muàrt,
i ti ài dita se ch’a volin i Dius
dai ciamps. Là ch’i ti sos nassùt.
Là che da frut i ti às imparàt

i so Comandamìns. Ma in Sitàt?
Scolta. Là Crist a no’l basta.
A coventa la Gl’sia: ma ch’a sedi
moderna. E a coventin i puòrs.

Tu difìnt, conserva, prea:
ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs

là ch’a no rivi la peràula
dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,

par no fassi capì; par no spartì
cun nissùn la so ligria.
Ama il sorel di sitàt e la miseria
dai laris; ama la ciar da la mama tal fì.

Drenti dal nustri mond, dis
di no essi borghèis, ma un sant
o un soldàt: un sant sensa ignoransa,
un soldàt sensa violensa.

Puarta cun mans di sant o soldàt
l’intimitàt cu’l Re, Destra divina
ch’a è drenti di nu, tal siùn.
Crot tal borghèis vuàrb di onestàt,

encia s’a è ’na ilusiòn: parsè
che encia i parons, a àn
i so paròns, a son fis di paris
ch’a stan da qualchi banda dal momd.

Basta che doma il sintimìnt
da la vita al sedi par diciu cunpàin:
il rest a no impuàrta, fantàt cun in man
il Libri sensa la Peràula.

Hic desinit cantus. Ciàpiti
tu, su li spalis, chistu zèit plen.
Jo i no pos, nissun no capirès
il scàndul. Un veciu al à rispièt

dal judissi dal mond; encia
s’a no ghi impuarta nuja. E al à rispièt
di se che lui al è tal mond. A ghi tocia
difindi i so sgnerfs indebulìs,

e stà al zoùc ch’a no’l à mai vulùt.
Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri

la vita, la zoventùt.”

Pier Paolo Pasolini

martedì 5 gennaio 2010

Chiesi a Dio

di Kirk Kilgour, pallavolista rimasto paralizzato nel '76
a seguito di un incidente durante un allenamento.

"Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi:
Egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese:
Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto:
Mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me:
Egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita:
Mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.
Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno
e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io!"