sabato 27 febbraio 2010

A Prato si è inventato un modello di (non)urbanistica

(sottotitolo)
L'urbanistica al centro del dibattito per la riqualificazione e la ripresa economica della Città

Le trasformazioni del territorio non si risolvono e non si affrontano uscendo dall'urbanistica; questo è il punto di partenza per ogni discussione su piani attutivi, accordi di programma e, in un ultimo, sul tipo di perequazione che a Prato sarà messa in atto.
Di per sé non è sbagliato ricorrere a piani attuativi di iniziativa privata o alla perequazione da parte dell’Amministrazione Comunale; è distorto invece l'uso, degli uni come dell’altra, in mancanza di una "pianificazione di riferimento" sufficientemente stabile e ferrea che indica dove e come spostare i diritti edificatori in maniera "sostenibile". Sostenibilità integrale, aggiungerei: economico-finanziaria, urbanistica, infrastrutturale, ambientale ed energetica; infine, ma non per ultima, sociale.
L'ipotesi che si è fatta di "rinnovare" il parco di Galceti, tramite un intervento "perequativo" a Maliseti, è l'esempio di un approccio sbagliato alle trasformazioni territoriali; esempio negativo semplicemente perché la "perequazione" ipotizzata prescinde da ciò che il Piano Strutturale - la pianificazione “sufficientemente stabile e ferrea” - prevede per Maliseti stessa. Ma non solo, è questa un'ipotesi che non prende in considerazione altri aspetti fondamentali per un approccio sostenibile alle "trasformazioni contemporanee" quali, ad esempio, le questioni legate alle infrastrutture e alla mobilità. Quali conseguenze, infatti, si ha nel costruire dove non è previsto dalla pianificazione, per l'economia di quei luoghi, per gli spostamenti urbani, per l'integrazione sociale e per la sicurezza, per il vivere comune?
A Prato, questo è anche un problema di classe dirigente che "amministra" da un decennio il "sapere" - non solo urbanistico, ma anche delle infrastrutture e della mobilità -, sapere che è stato spostato tutto quanto sull'impianto normativo, sulle procedure e sul "fare" abbandonando l' "urbanistica" ad orpello necessario, ma fastidioso; si noti dal 1999 quante volte sono state cambiate, aggiornate, modificate le norme del regolamento edilizio e di quello urbanistico, senza aggiornare il Piano Strutturale o modificare il regolamento urbanistico tout cour. Segno questo delle “visioni corte” con cui si è creduto opportuno dirigere la città.
E' possibile trasformare ancora territorio, a Prato, in maniera "sostenibile" e trasformalo in maniera da mettere in atto un processo virtuoso socio-economico, ma non speculativo-immobiliarista? Questa può essere una domanda giusta alla quale la classe dirigente della città non sembra interessata.
La risposta non è scontata perché la "trasformabilità" del territorio, per essere "sostenibile", deve passare non solo da una "pianificazione sostenibile", che oggi a Prato significa (1) variare in maniera organica e generale il Piano Strutturale e (2) il Regolamento Urbanistico, snellire e semplificare (3) il Regolamento Edilizio, ma da un uso "corretto", da parte dei privati e della classe dirigente comunale, degli (1) impianti normativi e delle (2) procedure senza "strumentalizzazioni" che aggirino l' "urbanistica" e il suo giusto rapporto con le "infrastrutture", la "mobilità" e la “società”.
Non è un caso che a pochissima distanza dall'approvazione del Regolamento Urbanistico di Secchi – cioè per una decina di anni - si sia fatto un sistemico e sistematico uso di piani attutivi di iniziativa privata, per variare lo stesso Piano Secchi, e un uso altrettanto sistemico e sistematico di "modifiche" all'impianto normativo di entrambi i regolamenti; segno questo della “non accettazione” del lavoro dell’urbanista, oggi, di fama mondiale. Errore di Secchi, a detta di molti, scusa per tanti che lavorano in città.
Questo è stato il "modello Prato" del "(non)fare" urbanistica, dopo Secchi, un modello che ha messo in crisi la città e ha distrutto l' "urbanistica" senza controbilanciamenti alcuni; decostruendo l'urbanistica non si è affatto innalzato la qualità del costruito, né tanto meno si è investito in un'architettura meritevole di essere presa a modello sostenibile.
In genere, si tende a responsabilizzare Secchi più di quanto non abbia di fatto errato nelle previsioni. La crisi economica, tutto sommato, non ha dato ragione a lui, ma ha tolto il velo a questo disinibito modo di trasformare il territorio.
Oggi, potremmo essere all'ultimo atto di questo modello negativo di (non)urbanistica, se con un distorto "modello perequativo", non fondato sulla corretta "pianificazione", si darà atto a nuove trasformazioni di carattere immobiliare, quale quella paventata per Maliseti.
Il problema principale non è cosa faremo o non faremo dell’area Ex-Banci, altro esempio sotto gli occhi di tutti, ma quale urbanistica vorremo adottare per riqualificare e rilanciare economicamente Prato. Continuare a focalizzare la nostra attenzione sulle singole aree degradate o abbandonate, Macrolotto 0, area ospedaliera etc. non fa vedere il male maggiore, ma permette a chi specula di giungere ad una soluzione vantaggiosa solo per sé.
Si auspica, non da parte di puristi ideologi, tanto meno da ambientalisti catastrofici, ma da chi ha cuore una "trasformazione sostenibile", economicamente e ambientalmente vantaggiosa per la città, un'inversione di marcia ed un cambio generazionale alla guida della macchina amministrativa pratese. Chissà, così facendo, che non si arrivi - infine - a un modello positivo di urbanistica per Prato e il suo territorio; infin dei conti nessuno desidera vivere in una città museo, tanto meno fra ruderi abbandonati o peggio fra grattaceli sconclusionati mentre il lavoro langue e i capitali non sono investiti per riqualificare e rilanciare economicamente Prato.

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